Autore: Antonio Porchedda
Questa è la storia di una fortezza volante,
creata da un uomo per combattere un altro uomo, per liberarsi dalla morte che
questo portava con sé, con altrettanta violenza, terrore e distruzione. La RAF (Royal
Air Force) scelse di chiamare questa macchina “Liberator”
e tutto ebbe inizio.
“Gennaio del 1944, è una giornata di sole sulla città di Grado. L’orizzonte
freddo e azzurro del mare si mescola al cielo terso, ed è un tutt’uno! Le genti
in laguna, non badano più di tanto al quel rombo che fa vibrare i timpani: sanno
tutti che si tratta dei bombardieri alleati, che arrivano dal mare, sorvolano la
laguna e spariscono dietro le candide Alpi Giulie, diretti a colpire la
Germania”
“. . . presto il cielo si riempì di punti neri: no, non sono rondini, non è
primavera. Sono uccelli metallici, luccicanti e rombanti, piccoli e grandi
all’unisono gridano vendetta!!! Sotto, i nasi gradesi all’insù, contemplano lo
stormo luccicante che si rispecchia in laguna…”
“Ma l’altro uomo non sta certo con le mani in mano, anche lui possiede macchine
volanti altrettanto veloci e potenti, e presto, dal cielo friulano, sparì
l’azzurro, rimpiazzato dal nero fumo e dalle dorate striature tracciate
dall’infallibile e mortale proiettile”
Questa fu una delle tante battaglia aeree ingaggiata dai caccia “Messerschmitt”
della Luftwaffe e i “Macchi” dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana, contro i
Bombardieri americani e inglesi, tra cui “P-47 Thunderbolt” e “B24 Liberator”.
Oggi Vi parlerò dell’immersione sul Bombardiere Americano quadrimotore
B-24 Liberator, abbattuto al
largo di Grado durante durante un’altra battaglia aerea, avvenuta poco più di un anno dopo, il 28 febbraio del 1945; di questa strabiliante
macchina volante, che giace inerte a 20 metri sul fondale sabbioso del Nord
Adriatico. Neppure il suo vecchio pilota potrebbe immaginare cos’è divenuta oggi
la sua macchina da guerra; neppure Lei, così potente e rombante, avrebbe potuto
immaginare questa fine: ferraglia arrugginita e indefinita, preda dei subacquei.
Beh, se io potessi parlare con il Pilota, gli direi che il suo bombardiere ha
fato una degna fine. Ora più che mai, sta dando il meglio di se. Il mare gli ha
strappato la livrea identificativa e gli ha rifatto il vestito, come quello di
Arlecchino; gli direi che la sua macchina non deve “liberare” più nessuno,
diventata ormai la casa di un grosso Grongo e di una moltitudine di pesci,
Castagnole e Sacchetti, che si aggirano indisturbati tra coloratissime spugne
incrostanti e rosse ascidie; gli direi che oggi da macchina della morte si è
trasformata in un’oasi di Vita !!!
Il Consolidated B-24 Liberator,
era un bombardiere quadrimotore. Inizialmente sviluppato e prodotto dall’azienda
statunitense “Consolidated
Aircraft Corporation”, durante la guerra, fu
costruito anche da altre aziende come Douglas, Ford e North American; il suo
armamento difensivo, su alcuni modelli, era costituito da dieci mitragliatrici
Browning M2 da 12,7 mm e poteva trasportare un carico bellico di oltre 3500 kg.
Il suo “tallone d’Achille” fu sicuramente la sua “quota operativa”, molto più
bassa rispetto ad altri bombardieri: questo faceva sì che venisse colpito ed
abbattuto più frequentemente, sia dall’antiaerea che dai caccia nemici. Fu
l’aereo da guerra statunitense costruito nel maggior numero di esemplari nella
storia: 18482 fino al settembre del 1945.
GRADO
Sono ospite di Giuliano e Susy e del loro Team di subacquei inseriti nella
Protezione Civile di questa bella città. Questi bravi ragazzi, impegnati nella
difesa del loro territorio e appassionati subacquei, hanno trasformato un
vecchio peschereccio in una barca da “diving” ed escono per immergersi nel
generoso mare Adriatico, sui “Grebeni”
o “Trezze” (antiche
formazioni calcaree sommerse) e sul relitto del “Bombardiere
B24” appunto. La loro attività si
inserisce in un contesto più ampio e va oltre il semplice “Diving”: partecipano
e sono parte integrante del progetto TURSUB, il quale mira alla valorizzazione e
alla salvaguardia del tratto di mare friulano e istriano, insomma, un
bell’impegno.
Dalla base operativa della Protezione Civile, si parte a bordo di un pulmino,
alla volta del piccolo porticciolo sito al centro della cittadina. Caricata
l’attrezzatura e mollati gli ormeggi, lasciamo il molo e ci immettiamo nel
canale principale che conduce in laguna.
“…osservo le colorate abitazioni dei pescatori che si affacciano sul canale
principale, i pescherecci allegramente dipinti, in fila uno dietro l’altro,
ormeggiati con le reti al sole…”
Usciti in laguna, Giuliano mette la barra a dritta e seguendo le briccole
usciamo in mare aperto. La barca beccheggia dolcemente ed il rollio è appena
percepibile. La forma tipica dello scafo non permette di raggiungere grandi
velocità: a noi va bene così, siamo rilassati e sereni, mentre prepariamo
l’attrezzatura per l’immersione e scafandriamo le nostre “point-and-shoot
camera”.
L’allegra ciurma raggiunge presto il sito di immersione e dopo avere dato fondo
all’ancora, ed ascoltato un breve briefing, siamo a mollo….. e giù a seguire la
catena dell’àncora e poi il suo calumo finché davanti ai nostri occhi, a 5, 7
metri di distanza, appare qualcosa di indefinito, che piano piano prende forma.
Eccolo! siamo di fronte al B24. Distinguo subito la parte centrale con i motori,
ma non vi sono più le eliche purtroppo, già da tempo depredate dai soliti
ignoti. Per fortuna alcune di queste sono state recuperate dalle forze
dell’ordine ed in alcuni casi, sono divenute monumenti commemorativi.
Uno dei quattro motori Pratt & Whitney R-1830-65
Sviluppava una potenza pari a 1200 hp
Cabina e carlinga, anche se parzialmente distrutte, si distinguono abbastanza:
fa bella mostra uno dei sedili da pilota; tra me e me penso: “sembra
quasi un trono Maya”.
Cabina e carlinga, anche se parzialmente distrutte, si distinguono abbastanza
e fa bella mostra uno dei sedili del pilota; tre me e me penso “sembra quasi un
trono Maya”
Giro un po’ per orientarmi e decido di cominciare l’esplorazione dell’ala
sinistra: forse è solo la mia prospettiva, ma la vedo più alta di quella destra.
Tuttavia riesco ad infilarmici sotto e scatto subito qualche foto al carrello
semichiuso, ancora al suo posto. Nella foto si distingue bene il disegno del
battistrada, ora colonizzato in prevalenza dalla rossa spugna incrostante “Aliclona”.
In origine la ruota singola rientrava nell’ala completamente.
Si distingue bene il disegno del battistrada, colonizzato dalla spugna
incrostante
“Aliclona rossa”
L’impianto di atterraggio del B24 Liberator era composto da un altro carrello
simile a questo, posto sull’ala destra, e da un’ulteriore carrello anteriore,
sempre a ruota singola, che rientrava nel muso, del quale però non ho trovato
traccia. Praticamente si trattava di un triciclo.
Tra il carrello appena visto e la carlinga, la mia attenzione è attratta da un
grosso tubo grigio, grosso circa 15 cm. Poiché tutto attorno è ricoperto di
spugne incrostanti multicolore, mi faccio le ipotesi più assurde sulla presenza
di questo “manufatto” così pulito e lucido!
“Conger conger” Grongo
Si tratta invece della livrea schiarita e segnata dall’età, di un anziano
Grongo, che scorrendo come un nastro trasportatore, mi mostra finalmente la
grossa testa. Per nulla spaventato, l’animale indietreggia completamente,
sparisce tra le lamiere, poi ricomparire per farmi “cucù”.
Riesco a scattare giusto un paio di foto, non belle purtroppo, ma utili ai fini
dell’identificazione, che conferma la presenza di questa specie di “pesce osseo”
all’interno del relitto.
Continuo il mio giro seguendo il profilo dell’ala, e sotto di essa, una nuvola
di castagnole sfreccia verso l’esterno abbagliata dal mio faro.
Castagnole
Poco più in là, arrivo alla fine dell’ala, spezzata nella punta, ed osservando
la struttura interna; si distinguono bene i classici fori ovali della centina di
rinforzo.
Ecco un pesce Sacchetto che sbuca fori e se ne va !
E pensare che in origine, le cavità delle ali di questo bombardiere, ospitavano
il carburante che alimentava i quattro motori, capaci di imprimere a questo
apparecchio pesante 29484 kg (a pieno carico al decollo), lungo 20.47 e largo
33.52 metri (di apertura alare), una velocita massima pari a 467 Km/h.
Bello davvero, mi piace! Continuo il mio giro e ritorno verso la carlinga
mantenendomi alto su quelli che dovevano essere i flap, ormai saldati
permanentemente al resto della struttura dagli organismi bentonici: qui l‘ala è
quasi collassata sulla sabbia. Al centro della carlinga i rottami si fanno più
indefiniti, infatti e manca totalmente la coda.
“Poiché non riuscivo a spiegarmi questo particolare, essendo
l’aeroplano posato sul fondo in asseto di volo, successivamente alle immersioni,
ho effettuato una più approfondita ricerca, scoprendo il seguente sito internet
che tratta molto bene l’argomento: www.archeologidellaria.org.
Consultando il forum sulle caratteristiche dei B24, il Signor Freddy,
gentilissimo ed esperto sulla storia di questi ed altri velivoli e del loro
impiego durante la II^ guerra mondiale, mi ha fornito la seguente spiegazione
che trascrivo fedelmente: la mancanza della coda indica che il pilota aveva
effettuato un ammaraggio di fortuna; il B-24 era infatti tristemente noto per la
sua particolare tendenza a spezzarsi in due durante gli ammaraggi, tanto che nel
manuale operativo consegnato ai piloti, vi erano specifiche istruzioni a cui
attenersi in caso di ammaraggio forzato”
Colonia: “Aliclona rossa”- “Aplidium elegans”- “Aplidium conicum”
Inoltre, grazie a “Wikipedia, l’enciclopedia libera”, apprendo che l’accesso per
il personale di volo, era posto nella parte posteriore del velivolo, e
l’equipaggio, per arrivare alla cabina di pilotaggio, attraversava un passaggio
molto angusto. Nel caso poi, fosse stato necessario lanciarsi dall’aereo in
volo, questa era l’unica via di fuga, e con il paracadute indossato, la
possibilità di salvarsi era compromessa. Per questo motivo il Liberator venne a
volte soprannominato “The Flying Coffin” (la bara volante).
L’aereo aveva un altro suo punto debole, le aperture del vano bombe: questi
sportelloni, durante l’ammaraggio, erano sottoposti alla crescente pressione con
l’impatto sulla superficie del mare, questo ne provocava la rottura. Si
imbarcava un’enorme quantità d’acqua che finiva nella parte posteriore della
coda, di conseguenza, questa zona si spezzava dal resto della fusoliera.
Sorvolo (è proprio il caso di dirlo) la seconda ala, più bassa della prima: qui
la zona dei Flap è quasi completamente sotto la sabbia, mentre la parte alta
(ipotizzo un’inclinazione di 30° circa e un’altezza 150 cm circa) mi appare come
un terrazzino in fiore, come uno di quelli che si vede in Trentino.
Qui sono presenti molte specie animali e vegetali, veri padroni di questo
relitto.
Ascidia “Aplidium elegans”
Ascidia “Aplidium elegans”
Visto da questo lato il relitto, non sembra nemmeno un aeroplano, ma una roccia
inclinata, rivestita di una moltitudine di organismi marini : è uno spettacolo !
ed ancora, sotto l’ala , convinto si non essere visto, uno scorfano rosso.
Sono ormai più di un’ora a venti metri e non posso trattenermi oltre, ma prima
di ritornare verso l’àncora per cominciare la risalita, non mi sfugge qualche
altro dettaglio. Poco distante da una serie di rottami indefiniti, fa bella
mostra un ingranaggio, anch’esso completamente incrostato ma ancora ben definito
dopo 69 anni d’acqua di mare, ed in ultimo, l’unica targhetta identificativa
ancora presente sul relitto, saltata su uno dei serbatoio dell’olio dei motori.
Da questo ultimo ed unico indizio, alcuni appassionati come il Sig. Freddy, già
citato prima, sono riusciti ad identificare il relitto, ma non il preciso
modello, poiché negli anni il velivolo è stato più volte saccheggiato e mancano
quindi, tutte le altre targhette di riferimento.
Penso che ritornerò ancora ad immergermi sul B24, per cercare nuovi indizi ed
esplorare l’aera tutt’attorno, magari con un raggio di 200/300 metri, poiché
sicuramente vi sono cose interessanti da scoprire e nuovi dettagli da aggiungere
a questa bella esperienza. E poi, devo trovare la coda !!!
Targhetta serbatoio
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