Claudio Di Manao fa riemergere il reef.
Eppure Claudio non è un mago ma uno scrittore, un editorialista, un sub e soprattutto un vero “reef angel”.
Il suo lavoro Cuore di Reef, una sorta di inno alla subacquea, è stato prodotto dalla Svizzera che, ricordiamolo, non ha un centimetro di costa né tantomeno di barriera corallina.
Ringraziamo Claudio per questa intervista.
Sono passati circa 20 anni da Figli Di Una Shamandura, seguito da Cani Salati, Subacquei Cattivi e altre pubblicazioni che hanno scritto la storia editoriale, e non solo, della subacquea. Sono passati 2 decenni, sono cambiate le cose o le Shamandure sono le stesse?
Sono cambiate tantissime cose. Dalla recessione del 2008 alla pandemia mi sembra che la subacquea si sia un po’ ristretta, come numeri e come raggio d’azione. Vorrei sbagliarmi, ma credo che i tempi in cui si girava il mondo con una sacca da sub in spalla ed un brevetto di istruttore in tasca si stiano un po’ esaurendo. I figli di Una Shamandura, invece, sono rimasti gli stessi. Le teste e la voglia di girare, anche senza andare per forza sott’acqua, non sono cambiate.
E ora Cuore di reef: raccontaci qualcosa, come è nato il radiodramma? dove viene trasmesso, che pubblico ha?
Cuore di Reef è la storia che volevo scrivere da quasi venti anni. Sotto la superficie del mare cambia
il nostro modo di percepire noi stessi e il mondo. Volevo esplorare questo aspetto dell’immersione, più intimo, legato ai pensieri che ci vengono sott’acqua, e all’inconscio. Volevo descrivere la relazione tra un subacqueo ed un reef che gli è più familiare dell’appartamento in cui abita. Nasce dopo DeepWater Horizon, altra docufiction radiofonica, sempre per la Rete Due della Rsi, Radiotelevisione Svizzera di lingua italiana (corrisponde alla Rai). Cuore di Reef nasce da uno spunto della produzione e dal suo percorso da tempo orientato alla creazione di suggestioni sonore di alta qualità, audio in 3D, etc. Ne è uscita fuori una sorta di immersione dentro sé stessi, in un mare specchio della nostra parte più profonda, nelle nostre paure ataviche e nella loro risoluzione, con un finale che assomiglia ad un risveglio. Il pubblico è quello di Rete Due, il canale culturale. Si può ascoltare e/o scaricare – dipende dai territori – a questo link: Cuore di Reef
C’è qualcuno che ti ha sostenuto nella stesura, nell’ideazione?
Direi di sì. La mia compagna, anche lei istruttrice, mi ha suggerito di scavare nella memoria alla ricerca delle sensazioni e dei pensieri delle prime immersioni per creare un legame più plausibile con l’ascoltatore. Non si può pretendere che chi non s’è mai immerso entri di colpo nella testa di un subacqueo con migliaia di immersioni, va accompagnato. Contemporaneamente mi capita fra le mani 20 Sfumature di Blu, di Stefano Sibona, che nella parte iniziale ripercorre le sue prime esperienze. E ci trovo qualcosa che sott’acqua faccio sempre anch’io, dalla prima immersione, ma non ci avevo mai pensato.
Cuore di Reef ha ottenuto una menzione speciale al Prix Italia. Nella motivazione si legge: “Cuore di reef è un podcast ben elaborato, con tecniche molto sofisticate. Il risultato è di grande qualità e capace di creare un forte coinvolgimento sul tema della sostenibilità, grazie ad un approccio originale, particolarmente empatico e sensoriale, esaltato dall’assenza di immagini” Raccontaci…
Guarda, quasi non ci credo, il Prix Italia è il concorso internazionale più prestigioso per il broadcasting. Partecipano emittenti come BBC, Arte, Rai etc. Quando mi hanno detto che eravamo finalisti la testa ha preso a girarmi e… ho aperto una birra. Un monologo subacqueo, poi… seconda birra. L’Ifad Copeam special Prize è un premio all’interno del concorso per produzioni che affrontano il tema sostenibilità. Cuore di Reef tra i finalisti era l’unico lavoro radiofonico, puramente audio, tra due documentari ovviamente di un certo spessore. Questo grazie al tocco visionario di Flavio Stroppini, il regista, e al suono impeccabile di Thomas Chiesa, con i quali avevo già lavorato.
Il reef è davvero nel cuore di tutti?
Ne abbiamo parlato tante volte, tanto che oggi ci meravigliamo se un soggetto subacqueo arriva a certi livelli di diffusione e d’ascolto. Io penso che chiunque guardi un documentario sul reef se ne innamori, non riesco ad immaginare uno stato d’animo diverso, ma io sono un subacqueo.
Cosa possiamo fare nel concreto o a livello di comunicazione per proteggere il reef e in generale l’ambiente marino?
Comunicare è importante, sono convinto che dovremmo fare più lobby, uso un’espressione che non mi piace, per ottenere più spazio mediatico. In Italia noi subacquei siamo quasi oscurati, come visibilità e indice d’ascolto, se ci paragoniamo all’estero…
Noi sub possiamo ritenerci ambassador del mondo sommerso?
È esattamente quello che stavo per dire. Noi siamo, se non custodi, testimoni oculari dello stato del mondo sommerso. Dovremmo sforzarci di portare più gente sott’acqua, dovremmo diventare tutti dei Thomas Canyon, il protagonista di Io Sono Il Mare. Non c’è comprensione, non c’è amore, senza fusione con il Mare. Dobbiamo stimolare la crescita di quei legami profondi che conosciamo bene tra il Mare e gli umani. Detta così sembra ambiziosa, epica, ma secondo me va fatto.
*Bene, complimenti e buon lavoro: aspettiamo l’ultimo libro!
Un’ultima cosa…
*Cosa?
Vorrei dedicare Cuore di Reef a un caro amico, un Figlio di Una Shamandura che diventò campione. Andrea Zuccari. Ci mancherà tantissimo.
“CUORE DI REEF” MENZIONE SPECIALE AL PRIX ITALIA 2023
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