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Quali sono le migliori immersioni al mondo? Parte 3

15/12/2021

Riassunto delle puntate precedenti: dopo 38 anni di onorata attività subacquea praticata in più o meno tutti i mari del Globo,  ho pensato di cimentarmi nel racconto di quelle che sono divenute le mie preferite usando dome metro di valutazione il “feeling”.  Cominciando dalla più “adrenalinica” sperimentata alle Galapagos (ho pianto alla notizia del crollo dell’arco di Darwin, sono serio) sono arrivato alla più ricca in termini di biodiversità saltando dalla parte opposta del  Mondo e, passando per il Sulawesi,  sono atterrato in Raja Ampat.
Questa puntata mi riavvicina a casa per l’immersione più profonda.

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IL CLUB DEI CENTO

Sulla metà degli anni ’80 eravamo (incredibile a dirsi) molto pochi a frequentare Sharm El Sheikh.
 C’era ancora un solo hotel a quell’epoca: il Marina… qualcuno forse lo ricorda; io però facevo parte di quello sparuto gruppo di “accampati” (nel vero senso della parola) che inseguiva il pionieristico sogno di sviluppare proprio là il turismo subacqueo. Per questo, tutti i giorni, andavamo in ricognizione, tutti i santi giorni ci tuffavamo più e più volte in esplorazione  (se vi sovviene qualsiasi altro parol…one che serva a dare un tono ben venga. La realtà é che si andava a tentativi, e quanti!) di quel mare incredibile per individuare gli spot migliori da proporre ai subacquei che volevamo convincere a darci fiducia.
Eravamo in pochi, ci si conosceva tutti e, vuoi per l’età vuoi per… le affinità elettive (follia e, diciamo, “disinvoltura”) si andava d’accordo e ci consideravamo  tutti amici così, a fine giornata, ci trovavamo attorno ad una shisha per scambiarci storie, esperienze e soprattutto “mire” dei siti visitati durante la giornata.

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Ci immergevamo utilizzando le “tabelle” e un profondimetro a lancetta, esclusivamente in aria (mono o bibo).  L’elio era una chimera, il trimix per immersioni sportive la grande novità degli anni ’90. (Si, giurassico).
Quelli “avanti” (e anche più danarosi) sfoggiavano già il primo “computer subacqueo” della storia, quello a “polmone”: un “cipollone” pieno d’aria. Un po’ più scientificamente: una membrana di ceramica porosa simulava i tessuti ed era collegata ad un tubo (di Bourdon) tramite il quale il gas “assorbito” veniva misurato da una lancetta, che indicava le tappe di decompressione su un quadrante.
Lo so, è praticamente come spiegare ad un millennial che lo smartphone è figlio dell’abaco …base 2 (??!!)
Se non avete almeno 60 anni non avete capito mezza parola… Come dicevo Giurassico! Antico!!
Io invece ricordo ancora perfettamente lo stupore di noi tutti quando si presentò “quello del Decobrain”: by Divetronic si direbbe oggi. Quello si fu il primo vero computer elettronico della storia: tutti lo guardavamo come venisse dallo spazio e (a mio parere solo per invidia. Poiché si sosteneva consentisse addirittura immersioni multilivello!! Addirittura!!) qualcuno dubitava dell’affidabilità.

Tornando a noi: ci si spostava a Nord e a Sud, anche ascoltando i consigli dei pescatori (sì in quegli anni c’erano i pescatori a Sharm!). Un giorno arrivammo a Dahab. Si parlava di un Blue Hole raggiungibile da riva e volevamo verificare. Fu una meravigliosa scoperta! Affrontammo la novità con cautela per imparare a conoscere questo “buco blu”, poi divenimmo sempre più spavaldi. Fin da subito fummo irresistibilmente attratti da una luce che filtrava da un arco spettacolare, a circa 50/55 metri di profondità: “bucava” il buio come qualcosa di sovrannaturale.  Era strano ma terribilmente seducente: invece di andare incontro al buio più fitto, più si scendeva e più ci si avvicinava alla luce. Potevamo evitare di attraversare quell’arco per ritrovarci poi in mare aperto a risalire nel blu? Domanda retorica.
Ma il Blue Hole era peggio di una tentazione del diavolo. La domanda che ci accomunava tutti era: “fin dove scende? Ci sarà pure il fondo, no?”  Ovviamente (devo dirlo?!?) decidemmo di scoprirlo….
Iniziammo così ad alzare l’asticella (anche se in questo caso bisognerebbe dire “abbassare”) e, un’immersione dopo l’altra, scendevamo sempre un po’ di più: -60, -70, – 80 …. Ma sembrava davvero non esserci fondo.

Come ho detto ci si immergeva in aria e sapevamo bene che la narcosi da azoto era in agguato. Ne conoscevamo gli effetti ed eravamo preparati ad affrontarla. O almeno ne eravamo convinti.
Così come sei convinto di tante altre cose a 25 anni, tipo….. di non avere limiti.
Gli effetti della narcosi si palesavano eccome! Io mi ero inventato un trucco per tentare di dominarla: quando verso i – 65 metri cominciavo a percepire una certa ebrezza, mi concentravo sul profondimetro e sul mio computer “a polmone”, ripetendo, come un mantra e con ossessione le tabelle per la deco successiva. Ha funzionato ma da subito ho detto a tutti: NON FATELO!

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Terzo giorno di immersioni al Blue Hole, in testa ormai c’era solo il fondo del buco da trovare!  Ormai era un tarlo, un’ossessione. Con Bruno, il mio fidatissimo buddy di sempre, decidemmo che bisognava trovarlo quel fondo, a qualsiasi costo (non dite niente… 25 anni). Quella mattina ci organizzammo con uno Zodiac in superficie per poter calare le altalene per le soste della deco.  Ad ogni altalena/sosta avevamo messo una bombola con doppio erogatore.
Bibo sulle spalle iniziammo a scendere, veloci, sempre più veloci . – 60 mt., tutto bene, -70 mt. tutto bene, – 80 tutto (abbastanza) bene. Inizio il mantra/tabella per tenermi attivo con la testa.  Dai Bruno che la narcosi ci fa un baffo (…non dite niente sempre 25 anni), – 90 l’ebrezza “sballa” e grazie a Dio il manometro era saldo al braccio. L’unico stacco degli occhi era, per un attimo, per trovare questo maledetto fondo. Non me ne accorsi quasi ma, fra assetto negativo che spingeva  giù veloce e narcosi ormai galoppante, guardai il profondimetro e lessi  – 102!
Con un ultimo barlume di lucentezza pensai:“ Brunoooo (censura), qui non ne usciamo più!”. Bruno, al mio fianco, capì al volo il mio sguardo e ci fermammo in sincrono. Iniziammo la risalita. Avevamo stabilito che, qualsiasi profondità avessimo raggiunto, saremmo poi risaliti più velocemente fino a -65, dove la narcosi si sarebbe attenuata, poi molto lentamente fino alla prima sosta di decompressione.
Alla base del piano di rientro c’era un ragionamento primordiale ma, in realtà, l’ignoranza del tempo lasciò ampio spazio all’improvvisazione e soprattutto alla fortuna! Solo grazie a quello portammo la pelle a casa. Qualche altro “spirito affine” seguì il nostro esempio e superò i -100 mt e, in breve, nacque il “Club dei Cento”.

Purtroppo però, lo spirito di emulazione prese anche chi non aveva l’esperienza e l’organizzazione sufficienti per affrontare queste sfide estreme. Chiudemmo il “Club dei Cento” prima che altri si spingessero oltre i propri limiti senza altrettanta fortuna.

A 40 anni di distanza l’emozione mi prende ancora al ricordo ma, con la consapevolezza di oggi e le conoscenze che abbiamo raggiunto anche in questo campo, anche avessi di nuovo 25 anni, non lo rifarei.

Voi non fatelo, date retta allo zio.


TAGblue hole Dahab Mar Rosso
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Andrea Piasentin
Andrea Piasentin

Nosytour senior lead consultant

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