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profondo zen

Profondo ZEN

31/03/2016

Discendere gli abissi è come raggiungere un nuovo pianeta.

Suoni ovattati, luci filtrate e strane creature mi trasportano in una nuova prospettiva… una diversa dimensione con proporzioni distorte e colori dissimili.

Mi lascio cullare da una sensazione di benessere, un tocco fluido che cambia temperatura mentre mi muovo.

Prendo coscienza di ogni singola parte del mio corpo e soprattutto del mio respiro.

Gli abissi come lo spazio infinito. La profondità come via di liberazione.

Incatenato al mio peso, alla mia condizione fisica e mentale, la gravità del mio essere è resa più leggera dall’elemento acquatico che mi accoglie come un grembo.

Un viaggio a ritroso in uno stato di pre-nascita, nel quale non ho ancora vissuto alcuna esperienza né condizionamento.

Ascolto il mio respiro.

E più discendo, più mi rendo conto di quanto sia importante la risorsa Aria e di come siamo fortunati a disporre di questo prezioso elemento.

Respirare profondamente. Non ho bisogno d’altro… inspirare… espirare… immaginando i miei pensieri risalire su in superficie, come le bolle che lascio andare.

Aria, questo elemento invisibile, fonte di vita nella sua semplicità.

È buffo poi che a ricordarmelo sia un altro elemento vitale come l’Acqua.

Sembra scontato e non ci penso mai, se non durante un’immersione.

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Forse queste nuove e attraenti sensazioni da ragazzo mi hanno avvicinato alla subacquea.

Dico forse, perché ancora oggi è difficile raccontare cosa significhi per me la passione per questa affascinante disciplina.

Più facile chiarire cosa Non sia.

Non è il contatto con il mondo che considero quotidiano, non è sicuramente lo stress che vivo nelle mie giornate frenetiche e non è nemmeno uno sport.

Mi verrebbe dunque da dire che la subacquea è “assenza”.

Assenza di peso e di riferimenti, lontani dalla costa o nel nero della notte.

Assenza di certezze e di pensiero.

Non pensare… sembra quasi impossibile.

Gli abissi come lo spazio infinito.  La profondità come via di liberazione.

Quando, anni fa, un amico mi chiese come facessi ad immergermi anche d’inverno o di notte, non seppi rispondere. Un bisogno primordiale? Un rito di purificazione? Non saprei. Prendo consapevolezza della leggerezza dei miei pensieri dai quali mi libero nel momento in cui sprofondo: in fondo al mare nessun pensiero è così pesante da poter scendere con me.

Godere di questa mancanza è un po’ l’essenza di cosa significa per me immergersi; una sorta di micro-trans ipnotica, condotta dai colori e dalla natura meravigliosa che ti circonda, la realizzazione e il superamento dei limiti dell’uomo; la mancanza di certezze che ti fa riconsiderare le cose sotto un altro aspetto. Piccoli istanti in cui riesco ad astrarmi da tutte le mie abitudini e convinzioni.

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Poi accade in una seconda epoca della mia vita, che tra viaggi e letture, ho iniziato a subire il fascino delle culture orientali. Mondi a noi lontani anche per forma di pensiero, o meglio, di non-pensiero. L’arte, la filosofia o ancora la Via, di ciò che viene tramandato con la parola Zen.

Sarebbe troppo complesso parlare di Zen in questo articolo, ma è facile intuire  che ciò mi ha incuriosito di più va nella direzione del non-pensare-a-nulla, nulla compreso.

Un’esperienza di liberazione difficile da raggiungere, in quanto nel momento in cui la desideri, la stai già pensando e ti stai incatenando.

Ebbene abbandonarsi alla perdita di pensiero, non significa perdere la memoria. Ciò che mi interessa realmente è sempre li e posso riaffrontarlo quando voglio.

“Ricordare” per cercare di avere-tutto-sotto-controllo, quando a volte basterebbe un appunto su un pezzo di carta e buoni propositi.

Pensiamo così tanto ad alcune cose prima ancora di farle, che quando poi arriviamo a farle siamo già stanchi.

Ci portiamo dietro sempre e dovunque, un macigno di pensieri per quanto dobbiamo fare, realizzare, raggiungere… spesso con la convinzione limitante che non ci riusciremo mai.

Ci auto-sabotiamo e ci nascondiamo dietro milioni di alibi.

La nostra vocina interna ci dice che dovemmo fare questo e che non potremo mai essere quello… basta!

Ci sono momenti nei quali vale la pena concedersi un attimo di relax, magari per recuperare nuove energie.

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Ed ecco che tutto è connesso; finalmente comincio a capire, perché immergermi mi appassiona: allontanandomi dalla superficialità, mi si presenta in un nuovo mondo, una possibilità diversa di approcciare le cose.

Un’esperienza di profondo contatto con me stesso.

Questo è lo stato di profondo rilassamento che cerco di raggiungere in alcuni istanti di una tranquilla immersione.

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Certo si è portati a pensare che sott’acqua una perdita di “coscienza” possa risultare pericolosa, così come quando si guida un auto.

Eppure, quante volte in auto abbiamo guidato in stato di trans ritrovandoci in un luogo senza capire come? E poi quando compiamo un’azione, abbiamo sempre bisogno di essere consci?

Si dice che il nostro inconscio sia come la parte nascosta di un iceberg, grazie al quale riusciamo a fare in maniera automatica tante cose senza nemmeno pensarci: e allora non pensiamo!

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Il tempo necessario all’assemblaggio dell’attrezzatura e al raggiungimento del punto d’immersione, lo considero come una sorta di viaggio preparatorio, un rito iniziatico nel raggiungimento del profondo zen.

Concludo raccontandovi che sempre lo stesso amico mi chiese come non potessi sentirmi costretto nella muta, attaccato all’erogatore, con il jacket, le bombole, la zavorra… risposi che potevo anche essere fisicamente legato, ma che mentalmente ero libero.

Libertà e felicità sono nella testa. Meritiamocele.

 

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Rosario Sorrentino

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