Nonostante la specie umana sia l’unica consapevole in questo mondo, non gli è possibile, per sua natura, cooperare per il bene comune. Causa l’egoismo innato e il nascere spontaneo (e crescente) di una costante competitività. Ma mentre la competitività degli altri animali si svolge senza intaccare minimamente l’ambiente, costantemente guidata da piani naturali che nella loro espressione evolvono secondo i dettami dell’Universo, quella tra gli umani genera squilibri e imperfezioni, ciò che tutti noi comunemente chiamiamo “danni“.

Migrazioni biologiche, ecosistemi sotto stress e nuove specie in arrivo
Nel suo evolversi, la vita sulla Terra (pianeta acquoreo nonostante il nome) ha generato Homo sapiens, animale molto particolare. Creatura straordinaria per un verso, capace di cose impensabili, l’uomo ha intaccato i meccanismi di Madre Natura fino ad arrivare, negli ultimi secoli, a una situazione in cui la plasticità neuronale della sua grande mente si è trovata a regredire grazie alla tecnica e all’utilizzo incontrollabile della tecnologia, eliminando quasi completamente le relazioni col mondo naturale (quelle gabbie note come “città” ne sono un classico esempio) e creando un mondo parallelo artificiale. Una realtà che non sappiamo come possa evolversi, specie col nascere e il progredire dell’IA. Stiamo considerando la Natura come qualcosa a se stante, al nostro servizio, esclusivamente una risorsa e non più il nostro mondo ambiente.
Il distacco dell’uomo dal mondo marino
In questo quadro c’è sempre una minoranza di individui, per fortuna, che prova a muoversi contro corrente, cercando delle risposte al cospetto di quanto accade, stimolata dalla continua sete di conoscenza. E questa è una delle poche cose buone, nonostante il condizionamento del denaro e del consumismo esasperato. Detto ciò, risulta chiaro che quando si parla di ambienti marini e del devastante impatto delle attività umane sugli stessi il discorso si fa ancora più complicato; per il semplice fatto che l’uomo, animale terrestre, non percepisce pienamente i meccanismi del mondo sommerso praticamente perché non li vive, non li vede.

L’Immersione subacquea: una finestra sull’ecosistema marino
Vivere parzialmente sott’acqua, come fanno alcuni subacquei, osservare gli ecosistemi marini costantemente, ogni settimana, d’estate o d’inverno, di giorno e di notte, ci apre le porte di una dimensione diversa, sconosciuta, eppure molto vicina a noi, fondamentale per il prosieguo della vita sul nostro pianeta.
Le trasformazioni del mediterraneo: specie aliene e cambiamenti climatici
Oggi che il Mediterraneo, mare chiuso, sta cambiando volto per motivi legati alla pressante azione umana e, chi lo sa, magari anche per situazioni legate ai normali cicli della natura, siamo tutti sconvolti da quanto osserviamo ma, come sempre, restiamo anche indifferenti e continuiamo a convivere con le nostre abitudini pensando che, in un modo o nell’altro, “andrà tutto bene”. Fatto sta che con il riscaldarsi dell’acqua e con l’intervento umano è iniziato un flusso di nuove specie dai mari tropicali verso il Mediterraneo.
Crostacei, molluschi, alghe e alcuni pesci, migrano verso le nostre acque per trovare nuovi ambienti in cui insediarsi, complice la temperatura in aumento ma anche la netta regressione della fauna locale. Perché preoccuparsi dell’arrivo di nuove specie? Non dimenticando che sovente siamo noi responsabili di migrazioni forzate e casuali di alcuni animali che poi possono sopravvivere o meno in Mediterraneo, dovremmo riflettere sul fatto che, laddove troviamo oggi ecosistemi sommersi alla frutta, un infiltrato potrebbe essere anche il benvenuto e andare a riempire un vuoto che altrimenti rimarrebbe tale.

Ecosistemi deboli, specie invasive forti
In un modo o nell’altro, ogni popolazione biologica può subire cambiamenti nel tempo e mutare le sue peculiarità. Se ne era già accorto Darwin, ma noi siamo molto distratti e sovente legati ad alcuni dogmi e verità date per certe (certa scienza).
Strategie di conservazione: priorità e soluzioni
Sarebbe giusto quindi studiare le specie non autoctone e il loro modo di uniformarsi alle regole di un mare per loro nuovo, da colonizzare nel tempo. Ma sarebbe più giusto studiare il da farsi per rafforzare gli ecosistemi locali e le specie endemiche, prima ancora di occuparci di eventuali “migranti”. Se gli ecosistemi mediterranei fossero in piena forma ogni nuovo arrivato farebbe fatica a inserirsi e ricavarsi la sua umwelt (il suo mondo ambiente personale).

La regolamentazione della pesca: una priorità urgente
Dedichiamoci quindi alla regolamentazione della pesca e alla tutela dei nostri pesci, permettendo loro di vivere e riprodursi, anziché stressare quotidianamente ogni pesce, mollusco o crostaceo, riducendone le popolazioni. Oggi è di moda anche la raccolta di reti abbandonate e la pulizia dei fondali; sicuramente un bell’esempio e un gran bel fare, ma esistono delle priorità: se le reti venissero bandite a favore di sistemi di pesca con un minor impatto sull’ambiente?
Il passato e il presente: Un Equilibrio Perduto
Un tempo l’equilibrio tra strumenti di pesca, vitalità degli ecosistemi e numero di persone al mondo consentiva in qualche modo di sfruttare il mare senza danneggiarlo in modo esagerato. Ma l’evoluzione dei sistemi di pesca, l’aumento della popolazione mondiale e la trasformazione della pesca in industria ha innescato un meccanismo di distruzione tale da svuotare in breve tempo gli oceani in modo quasi irrimediabile.

Riponiamo speranze e fiducia nelle nuove generazioni
Forse sogno che le nuove generazioni possano rimediare ai danni fatti da quell’indifferenza umana nata e cresciuta nel ventesimo secolo, forse mi illudo che si possa salvare il salvabile. Voglio essere ottimista e pensare che una nuova fauna marina, adatta al nuovo tipo di ambiente, possa continuare a popolare i nostri mari, rendendoli ancora vivi e belli.
Forse penso che nuove generazioni di subacquei possano osservare il mare con occhi diversi, meno concentrati su sé stessi e sul loro modo di vivere il mare e più impegnati nello studio e la tutela degli ecosistemi costieri.
Se queste poche righe riuscissero ad invitare qualcuno alla riflessione sarebbe già un buon risultato.
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Foto di copertina di Francesco Turano
Articolo originale pubblicato su ScubaZone 80