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Home Articoli Immersione lago di Lugano a Osteno: un mare tropicale abitato dagli squali

Immersione lago di Lugano a Osteno: un mare tropicale abitato dagli squali

18/12/2013

Immersioni nel Lago di Lugano – Osteno: un mare tropicale abitato dagli squali  Hundred Trimix Team e Lazzurro Diving Center nella tana dello Squaloraja

La voglia e la curiosità di conoscere nuovi orizzonti, il desiderare di scoprire cose nuove e di mettersi in gioco ogni volta, il desiderio di conoscere nuovi siti di immersioni, e di non fermarsi sempre a quello che già si conosce, è insito in alcuni di noi, ed è quello che sento io, e ho messo in pratica, proprio nella parte italiana del Lago Ceresio, lontano dalla moltitudine di subacquei d’acqua dolce che gravitano sempre di più attorno ai bacini lacustri e a poche centinaia di metri dal confine svizzero, nella località di Osteno.

La sponda di Osteno

Conoscendo molto bene la zona, sapevo dell’esistenza dei famosi “Fossili di Osteno” e quale forte appassionato, e possessore di una discreta collezione di “ antichi reperti pietrificati “, l’ idea scaturita dall’insieme di pensieri e la voglia di effettuare un tuffo esplorativo nella zona interessata, mi ha praticamente travolto.

L’ HTT, Hundred Trimix Team questa volta, in piena sinergia e collaborazione con il centro immersioni Lazzurro di Como , si è immersa nelle acque sottostanti l’antica cava Del Duli , in località Porto Franco, proprio a metà strada tra il comune di Osteno, e le abitazioni di Santa Margherita, laddove non esiste strada ma solo la bellissima costa selvaggia e verde con alberi che arrivano a tuffarsi nelle acque tranquille del lago.


Hundred Trimix Team

La breve traversata in gommone, partita dalla splendida cornice della spiaggia dell’ottimo ristorante “Il Ritrovo” nelle vicinanze del lussuoso Residence Parco Hotel San Marco a Cima di Porlezza dove ha sede nel periodo estivo il diving, è stata proprio spettacolare, e sotto la guida sicura di Luca Arrigo titolare assieme a Tatiana Picchioldi del diving, ci siamo diretti verso la meta, in quell’insenatura particolare dove un tempo partivano i barconi carichi di pietra da costruzione.


Cava del Duli

La particolarità di questa zona, è che il sito di immersione non è servito da alcuna strada; infatti, per raggiungere tutte le baite e casupole di questa sponda del lago, molto selvaggia e discreta, i relativi proprietari devono usare la barca ed attraversare le acque di questo ramo di lago estremamente verdeggiante.
Qui, molte volte sembra di essere fuori dal mondo, immersi in una realtà molto particolare, lontano dal chiasso della frenetica vita moderna e dallo stress, laddove puoi veramente ritrovare quella pace e serenità che a volte ci manca.


Porto Franco

In questo frangente, è stata effettuata probabilmente la prima inedita esplorazione ad alta profondità per verificare ed osservare sotto il pelo dell’acqua, la presenza e la prosecuzione della grande parete emersa che è visibile ai normali turisti che abitualmente transitano in barca nel periodo estivo.
Nell’immersione si capisce bene il resoconto dei geologi che hanno già studiato ampiamente la morfologia asciutta della vecchia cava, ed i lastroni di “calcilutite “stratificati con colorazioni rossastre e grigie, li tocchi con mano e rimani di stucco pensando che qui l’uomo non ha creato proprio niente.

Ma andiamo con ordine.
Il lago di Lugano, è uno dei bacini d’acqua dolce più freddi del nord d’Italia, e consapevole di tutte le immersioni effettuate nella zona, ho avvisato i compagni di avventura che in acqua avremmo sofferto un pochino i soli 5 – 6 ° di temperatura, anche se eravamo nel mese di luglio .
Quindi, una particolare attenzione andava prestata alla bassa temperatura che in questo lago è quasi sempre inferiore anche di almeno 2-3 gradi rispetto agli altri laghi del nord Italia sui quali normalmente ci immergiamo .
Il sommozzatore non deve assolutamente sottovalutare il tempo di permanenza in acqua con mute e sottomuta magari non idonee, e solo nella parte superficiale si apprezza la variazione del termoclino, anche non trascurando il fatto che immersioni profonde e non , possono causare problemi ad erogatori non consoni a questo genere di tuffo .

Mentre eravamo in navigazione, mi sono perso nel tempo e nell’immaginazione, e per un attimo ho rivisto i vecchi Kumball (antiche barche a vela e remi ) che si staccavano lente dalla costa e carichi di lastroni di pietra, prendevano lentamente “ la Breva “ , quel vento che soffia da Lugano a Porlezza, per poi arrivare stancamente al porto più vicino per l’ormeggio ……………. Un mondo d’altri tempi ……

Con gli altri tre Moschettieri, tali inseparabili amici quali Sergio Berlendis, Ivan Rolli e Gianni Bolis (con Stefano Murzi in un altro tuffo analogo) , che intanto mi avevano portato alla realtà e alla massima concentrazione, mi sono diretto in direzione del confine, con parete a sinistra, e qui è incominciata l’avventura .


Sergio

Era la prima volta che scendevamo in questa inusuale location, e dopo aver valutato il tuffo inedito e profondo, consapevoli che il freddo gioca proprio brutti scherzi, con aumento dei consumi, aumento della CO2 e rischi per mdd di vario genere, ci siamo accordati con la Utengas di Gorle, che ci ha equipaggiato con un 15+15 contenente trimix 10/50. Un mono da 11lt con miscela di trasporto 25/25, un mono da 11lt con ean 50 per decompressione e un 10 lt con ossigeno puro per le deco a 6mt completava le scorte di gas.

Perdendo quota con estrema calma, in piena osservazione ed esplorazione, gustandoci proprio i primi 40 mt di discesa abbiamo osservato questa particolare parete stratificata, costruita forse da un “antico muratore” con una maestrìa estrema , come se qualcuno avesse proprio costruito una enorme muro di massi squadrati .
Man mano che affondavamo sempre più , stando molto attenti alle quote per i cambi delle miscele ipo-ossigenate ed arricchite di elio, lo spettacolo diventava sempre più fiabesco, certamente sempre più buio, ma con le nostre potenti lampade a led, siamo riusciti ad illuminare un mondo quasi fiabesco .

Particolare impressionante è la profondità e verticalità della parete dove il team tecnico ha raggiunto la massima profondità di 98 mt osservando che “il muro stratificato “ proseguiva ancora sotto le nostre pinne !
Eravamo in mezzo ad una sorta di scivolo, dove potevamo vedere distintamente la parete di sinistra e la parete di destra sprofondare nel nero totale.

L’indolenzimento dei muscoli facciali procurato dalla temperatura veramente bassa, ci ha portato alla realtà e come un grosso pizzicotto, ci ha ricordato la tabella che imponeva ora la risalita e tutte le tappe di decompressione da osservare.


Carlo Porto Franco


Ivan Porto Franco


Ivan Rolli

Il piccolo promontorio che si crea in superficie invece sott’acqua è unico e scenico, perché la presenza di massi ciclopici cubici, tratti di parete lastricata e piccoli torrioni, ci ha reso l’immersione molto adrenalinica e variegata : molte volte non si sapeva su che cosa soffermarci, vista la complessità del sito .
Posso confermare che questa immersione offre senza dubbio un largo spettro di scelta di profondità, dalla più tecnica e profonda, alla meno impegnativa effettuata a 30/40 mt dove il chiarore della luce del sole offre scenari unici, ma sicuramente non adatto ai neofiti, a patto però di un ottimo controllo dell’assetto.
Sebbene l’immersione sia stata effettuata in estate, dove “l’effetto tappo “della infiorescenza delle alghe crea problemi di luminosità, la visibilità già a 10 mt di profondità è stata subito eccezionale, per non parlare di quanto visto invece a 30-40 mt dove si potevano spegnere tranquillamente le nostre torce.


Fossile Aeger

Devo dire che durante il tuffo dalla durata di 73 min di run-time, la tensione era più alta del solito, vuoi per il fatto inedito, vuoi per aver visto in museo tutti quelli strani esserini anche minacciosi calcificati nella roccia. Qui ogni singolo pesce persico o normale pacifica bottatrice incontrata, ci appariva con un non so che di …. preistorico sapendo che magari, lontano da tutti sotto una riva selvaggia, nella tana trovata, qualche uova di Lariosauro o Squaloraja o chissà che altro, da un momento all’altro si poteva schiudere………

UNA STORIA VECCHIA DI 190 MILIONI DI ANNI, MA CHE MOLTI NON CONOSCONO – LA PAROLA ALL’ESPERTO

Come è stato scritto in numerose pubblicazioni, i fossili di Osteno provengono da una cava (cava del Duli o “Dui”) posta a ovest della località nota come Porto Franco.
La scoperta del giacimento limitrofo a Porto Franco avvenne in modo del tutto casuale e fortuito. Nel 1964 il sig Pio Mariani, noto collezionista di minerali e commerciante di Desio (Milano) si trovava nei dintorni di Albogasio. Egli si accorse che nei pilastri di un cancello erano stati cementati due splendidi fossili di crostacei perfettamente conservati. Il signor Pio Mariani scoprì che il cancello era di proprietà del padrone della cava di S. Margherita presso Porto Franco (Osteno) che fornì al collezionista alcuni esemplari. Nel 1965 Pio Mariani segnalò la scoperta al noto paleontologo Giovanni Pinna cedendogli gli esemplari acquistati dal padrone della cava. Pinna si recò sul posto nello stesso anno, quando le cave erano ancora in attività, recuperando nuovo materiale estremamente interessante.
Successivamente, nell’estate del 1966, le cave vennero chiuse perché ritenute pericolanti, questo rese difficile il reperimento di nuovi materiali. La scoperta fu seguita da numerosi studi del Museo di Storia Naturale di Milano associata a nuovi scavi paleontologici che portarono a diverse scoperte interessanti.

La raccolta di nuovi campioni fossili non ha coinvolto solo la cava di Porto Franco, un altro sito che ha fornito resti molto simili è la cava Quaglietto, collocata a monte del villaggio di Osteno (Claino con Osteno). La cava, di proprietà del sig. Emilio Vitali, è stata operativa sino al 1980, poi chiusa in seguito a una terribile disgrazia: “ un lastrone scivolò e morirono schiacciati due operai!”; l’avvenimento comportò la chiusura definitiva di un’attività che durava da generazioni.

Anche questo secondo scavo, prima del tragico 1980, ha riportato alla luce diversi resti fossili ceduti ai paleontologi che studiavano la fauna di Osteno, la cessazione dell’attività ha impedito di recuperare ulteriore materiale.

Il giacimento è costituito da una lente di 6 m. di spessore di calcilutite spongilitica inglobata nella formazione dei calcari selciferi lombardi (che è invece quasi priva di fossili) ed è stato datato alla “zona a bucklandi” del Sinemuriano inferiore sulla base dei generi di Ammoniti presenti.
Si tratta di un episodio sedimentario limitato nello spazio e nel tempo che ha prodotto condizioni eccezionali di conservazione: l’ambiente era un fondale marino fangoso poco profondo con sedimentazione continua, in prossimità della costa (presenza di fossili di piante terrestri), con assenza di correnti e parzialmente isolato; l’ossigenazione era scarsa, tanto che l’accumulo di materia organica sul fondo (e la sua decomposizione) portava a condizioni incompatibili con la vita sul fondo, con conseguente morte degli organismi bentonici ed il loro seppellimento in condizioni ideali per la fossilizzazione; la drastica diminuzione delle popolazioni permetteva in poco tempo il ristabilirsi di condizioni di debole ossigenazione sufficienti per la vita e cominciava un nuovo ciclo.

La cacilutite evidenzia infatti laminazioni parallele a differente colorazione ancora perfettamente visibili fuori dall’acqua ed anche in immersione.
I fossili più abbondanti sono quelli dei Crostacei, in particolare gli Erionidei con esemplari di 15 cm. in perfetto stato di conservazione che li rendono i fossili più appariscenti di Osteno; la loro abbondanza è dovuta al fatto di essere organismi legati al fondale e quindi i più colpiti dalle cicliche variazioni.
Nel giacimento sono presenti anche altri generi di crostacei tra i quali segnaliamo Aeger, l’antenato dei gamberetti, perfettamente conservato nonostante la delicatezza delle parti chitinose.
Ma non sono questi i fossili più importanti dal punto di vista scientifico.
Oltre al Ostenocaris Cypriformis di cui alleghiamo la scheda, il giacimento ha fornito anche altri fossili di notevole importanza scientifica, sia per la rarità, sia per i dettagli anatomici
osservabili; in particolare l’unico enteropneusto fossile conosciuto, Megaderaion sinemuriense, molto simile alle forme più primitive degli enteropneusti attuali della famiglia Harrimaniidae. Gli enteropneusti (philum emicordati) erano noti allo stato fossile solo per le tracce di attività lasciate nei sedimenti: l’esemplare di Osteno, con i suoi dettagli anatomici, mostra come non vi siano state notevoli variazioni in 190 milioni di anni.

 

Altri notevoli ritrovamenti sono quelli di pesci cartilaginei: l’esemplare di Squaloraja –l’incrocio tra lo squalo ed una razza– è il pezzo più importante per il suo stato di conservazione. Il genere era noto per i pochi esemplari rinvenuti a Lyme Regis fin dall’800 ma i dettagli visibili nell’esemplare sono eccezionali: è addirittura visibile l’organo della linea laterale nonché le pinne pari anteriori e posteriori, i cinti e le cartilagini del cranio e l’intera colonna vertebrale; sono presenti anche numerose placche tricuspidate analoghe allo zigrino degli squali. È stato anche trovato un nuovo e particolare tipo di squalo ed alcuni
tipi di pesci che erano stati rinvenuti finora solo a Lyme Regis.

 “Ostenocaris Cypriformis” un fossile ostenese

Quale paese può vantare di aver dato il nome ad una specie animale? Ben pochi, ma Osteno è fra questi. Stiamo parlando dell’Ostenocaris Cypriformis, un fossile marino famoso in tutto il mondo appartenente ad una nuova classe di crostacei, proveniente dal giacimento di Osteno di 190 milioni di anni fa. Questo organismo simile ad un crostaceo era probabilmente uno “spazzino” che si nutriva di piccoli crostacei e/o filtrando il sedimento dei fondali fangosi del mare nel giurassico inferiore.

Fin dai primi ritrovamenti furono rinvenuti abbondanti resti (si tratta del fossile più frequente nel giacimento) dall’aspetto abbastanza problematico: si trattava di un organismo con un guscio chitinoso univalve, a volte accompagnato da impronte ellittiche di parti molli; di che cosa si trattasse è rimasto a lungo un mistero finché nel 1979 furono ritrovati degli esemplari completi di appendici e delle strutture responsabili delle impronte ellittiche. Si trattava quindi di resti di crostacei con una organizzazione anatomica simile a quella dei cirripedi; inizialmente fu interpretato come un cirripede strano, in cui erano presenti sia caratteri dello stadio cypris, sia caratteri dello
stadio adulto e fu denominato Ostenia cypriformis (1980).
Rimanevano molte perplessità: l’animale era troppo grande (anche 20 cm.) per essere un parassita e la presenza delle appendici era in contrasto con la fissazione al fondo; le ricerche  proseguirono finché nel 1982, in seguito a ritrovamenti in cui i dettagli anatomici erano ancora meglio conservati, si giunse alla ricostruzione della struttura interna ed a una conclusione sorprendente: non era un cirripede (anche se di una forma nuova) ma una nuova classe di crostacei, i Thylacocephala. A tutt’oggi rimangono tuttavia numerose incertezze sulla loro anatomia e
sulla loro ecologia.

La particolarità che rende unico il giacimento di Osteno è che al contrario di quello che normalmente accade in altri giacimenti fossili, in questo giacimento si conservano le parti molli, quindi i fossili di Osteno sono come una specie di radiografia dell’animale o vegetale  imprigionato nella pietra. E’ particolarmente faticoso estrarre i fossili dal giacimento perché sono racchiusi in rocce che devono essere rotte con il martello pneumatico, sono quindi rari i reperti che riescono ad uscire indenni da questo tipo di estrazione.

Il giacimento è raggiungibile solo via lago sito in località Caslè si trova a metà strada fra Osteno e S.Margherita.

Vicino a Osteno è possibile vedere l’Ostenocaris Cypriformis ed altri fossili ostenesi in questi musei:

– Museo Etnografico e Naturalistico Val Sanagra
Villa Camozzi, frazione Codogna 22010 Grandola ed Uniti (CO)
Apertura: Maggio – Settembre seconda e ultima domenica del mese
Ottobre – Aprile ultima domenica del mese 10.00 – 12.30 / 14.00 – 17.00

– Civico Museo dei Fossili dei Monti intelvesi
Scaria frazione di Lanzo d’Intelvi (CO) piazza Carloni
Apertura: Luglio – metà Settembre, lunedì-domenica 15.00 – 18.00
Per informazioni: Ufficio Turistico a Lanzo d’Intelvi 031840143


Con chi andare

Abbiamo fatto una serie di tuffi lungo questa splendida parete assicurandoci al Centro Immersioni “ Lazzurro” con sede invernale a Lurate Caccivio (Co) in via XX Settembre 98 e con sede estiva presso la marina del lussuoso Residence Hotel Parco San Marco in Cima di Porlezza, sul lago di Lugano. Qui, i simpaticissimi Luca Arrigo e Tatiana Picchioldi, (in arte “prof”), gestiscono il centro immersioni con corsi Padi ed Esa, in piscina ed al mare , noleggiando tutta l’attrezzatura necessaria alle immersioni, compreso il servizio ricarica con l’ausilio di un grosso compressore Coltri Sub e gommone con motore da 90cv e attrezzatura necessaria di bordo.

Recapiti : www.lazzurro.eu – Tel cell. 0039-3393271658


Stefano e Carlo


Stefano e Ivan


Vestizione

Autore testo: Carlo Roncoroni
Autore foto: Carlo Roncoroni e Sergio Berlendis

È assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo e delle immagini presenti in questo articolo senza il consenso dell’autore.


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Carlo Roncoroni
Carlo Roncoroni

Carlo Roncoroni è un subacqueo tecnico e autore, con una lunga esperienza in immersioni profonde e con miscele come il trimix. Ha firmato diversi articoli per ScubaZone, dedicandosi a tematiche di esplorazione, ambienti lacustri e subacquea tecnica. Condivide gran parte delle sue immersioni con Ivan Rolli, amico e compagno di immersioni, con cui esplora e documenta ambienti spesso poco conosciuti. Insieme portano avanti una visione della subacquea fatta di ricerca, avventura, preparazione e rispetto per l’ambiente.

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