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Home Viaggi Europa El Hierro, la più remota delle isole Canarie

El Hierro, la più remota delle isole Canarie

06/09/2010

Autore: Massimo Boyer

Correva il secondo secolo quando il geografo greco Tolomeo pubblicò le prime carte geografiche tracciate secondo il metodo ancora in uso, che suddivide la superficie terrestre in gradi in base alla distanza orizzontale e verticale da due riferimenti. Il parallelo 0 o equatore era per definizione la circonferenza massima della sfera, per il calcolo della longitudine invece Tolomeo fissò il meridiano 0 nel punto più occidentale allora conosciuto, le isole Fortunate in Oceano Atlantico. Più in là, per le conoscenze di Tolomeo, il mondo finiva, e ci vollero altri 300 anni prima che Cristoforo Colombo cercasse una nuova via per le Indie… ma questa è un’altra storia.


La valle de El Golfo. 50.000 anni fa mezza isola franò in mare aprendo questa
impressionante ferita.


Aria, acqua, terra, fuoco. Gli elementi dell’alchimia classica in una foto
simbolica: le nuvole basse si frappongono tra la terra e il mare, sullo sfondo
Isla de la Palma. Il fuoco si vede nel suolo lavico in primo piano, attraverso
uno dei suoi effetti.



A sinistra: l’incredibile panorama dalle alture di El Hierro.
A destra: sopra le nuvole.

Alla fine dell’800 i cartografi moderni spostarono il meridiano di riferimento facendolo passare per il distretto londinese di Greenwich. Il faro de Orchilla è rimasto sul vecchio punto 0, a indicare ai naviganti la posizione della punta occidentale dell’isola più occidentale delle Canarie (ex isole Fortunate), El El Hierro significa in Spagnolo “il ferro”, metallo che brilla per la sua assenza dall’isola omonima: è probabile che il nome sia una deformazione di
qualcosa che nel linguaggio degli antichi abitanti delle Canarie (il popolo dei Bimbache, di origine africana) suonava pressappoco come “Hero”, senza riferimenti metallici.



A sinistra: il pino canario Pinus canariensis.
A destra: il fiore di una cactacea.

Lontanissima dallo sviluppo turistico di Tenerife, isolata e selvaggia, El Hierro offre al viaggiatore paesaggi unici, e al subacqueo l’opportunità di
immersioni degne di nota. Qualcosa di completamente diverso, un ambiente quasi
mediterraneo reso più selvaggio dalla posizione nell’Oceano aperto e addolcito
dalla presenza di animali e piante tropicali. Una strana fusione tra flamenco,
percussioni sahariane e salsa caraibica che cattura e stupisce. Fuori come
sott’acqua.



A sinistra: le antiche case dei contadini erano costruite a secco con la
roccia lavica.
A destra: colate laviche solidificate testimoniano l’origine di El Hierro.


Ginepro secolare, le intemperie lo hanno plasmato.

La storia geologica di El Hierro inizia 100 milioni di anni fa, quando il magma fuoriuscito dalla dorsale atlantica perforò la superficie dell’acqua formando una imponente piramide a base triangolare, alta oltre 2000 m sul livello del mare. 50.000 anni fa ebbe luogo qui uno dei fenomeni più devastanti che la storia del mondo ricordi: forse in seguito a un terremoto una fetta cospicua dell’ isola (300 km³ di terra e roccia) si staccò e franò in mare. L’onda di
tsunami alta 100 m che ne seguì sconvolse le coste Americane. Il ricordo di questo fenomeno è la straordinaria ferita della valle di El Golfo, che corrisponde al lato nord-ovest dell’isola.
Il clima subtropicale vede scarse piogge da novembre a marzo e sostiene una vegetazione ricca e diversificata, dalle euforbie che tappezzano l’arido versante meridionale al Pinus canariensis che borda le alture, resistente al fuoco. Nel Sabinar (ginepraio) della punta occidentale i tronchi secolari del Ginepro fenicio (Juniperus phoenicea), modellati dal vento, assumono forme assurde.
Le Canarie si originarono dal sollevamento del fondale oceanico, non sono mai state collegate a masse continentali. Le specie animali e vegetali che hanno colonizzato le isole si sono evolute in isolamento, dando vita a molte specie
endemiche. Da questo punto di vista siamo in un autentico laboratorio dell’evoluzione, come si vede molto bene in animali poco mobili. Ogni isola ha per esempio le sue lucertole endemiche. Un simbolo di El Hierro è la lucertola
gigante (Gallotia simonyi), che in passato misurava 1,5 m. Era creduta estinta, nel 1975 alcuni individui (taglia massima 60 cm, una razza nana) sono ricomparsi; i loro discendenti, protettissimi in una riserva esclusiva, fanno
del loro meglio per ricostituire la specie. Più comune anche allo stato selvatico la lucertola herreña (Gallotia caesaris caesaris), nera a macchie azzurre.



A sinistra: Gallotia simonyi, la lucertola gigante di El Hierro. Ne
sopravvivono poche centinaia di esemplari.
A destra: la lucertola herreña (Gallotia caesaris caesaris), specie endemica.

Per contro la comunità biologica marina ha pochissimi elementi endemici e appare piuttosto come un collage tra aree geografiche confinanti. Questo è soprattutto l’effetto delle molte correnti che trasportano larve verso El Hierro.
La corrente fredda delle Canarie, ramo terminale discendente della corrente del Golfo, apporta specie delle coste europea e africana. Sporadicamente è sostituita dalla Controcorrente delle Canarie, proveniente dalle coste
dell’Africa Equatoriale, che sospinge animali tipici di una fauna più calda.
Notiamo però che le specie più termofile attecchiscono raramente in quanto trovano un ambiente costiero con acque più fredde rispetto alla latitudine. Gli Alisei, che soffiano da Est, provocano risalita di acqua profonda da ovest,
ricca di nutrienti ma fredda.


La cernia (Epinephelus marginatus) nella riserva è molto confidente con il
sub.

Il risultato della combinazione di questi elementi è un popolamento in cui predominano elementi atlanto-mediterranei, mescolati con elementi tropicali dell’Atlantico orientale e con qualche specie Caraibica.
Esiste qualche corallo, ma non un vero reef: le temperature invernali relativamente basse (17-19º in gennaio, 23º la massima in settembre) impediscono lo sviluppo di costruzioni madreporiche.
Tra i pesci è onnipresente una vecchia conoscenza del subacqueo mediterraneo, la invadente e sfrontata donzella pavonina (Thalassoma pavo). Un altro elemento caratteristico è il pesce pappagallo (Sparisoma cretense), la
stessa specie che troviamo nel meridione d’Italia: molto emblematico, elemento tradizionale della gastronomia Canaria (localmente è noto come vieja, vecchia). Assente invece la nostra castagnola, sostituita da due specie africane della stessa famiglia, Chromis limbata e Abudefduf luridus.



A sinistra: Thalassoma pavo, una presenza costante.
A destra: Scarus cretense, la tipica vieja, è anche un piatto tradizionale.



A sinistra: Chromis limbata, una castagnola Africana.
A destra: Abudefduf luridus, una castagnola Africana.



A sinistra: Serranus atricauda, un serranide di piccola taglia dell’Atlantico
orientale.
A destra: Epinephelus marginatus, la cernia presente anche in Mediterraneo.



A sinistra: Primo piano di Epinephelus marginatus.
A destra: Il granchio freccia africano Stenorhynchus lanceolatus.



A sinistra: La cernia Mycteroperca fusca, tipica di queste zone.
A destra: Diplodus sargus cadenati è la varietà di sarago maggiore presente in
quest’area.



A sinistra: Diplodus cervinus, il sarago faraone, qui è comune e molto
curioso.
A destra: Sphyraena viridensis è la specie di barracuda comune alle Canarie.



A sinistra: Profilo di Diplodus cervinus.
A destra: Primo piano di Diplodus cervinus.



A sinistra: Pseudocaranx dentex, un carangide frequente in piccoli gruppi.
A destra: Il pesce trombetta Aulostomus strigosus, specie dell’Atlantico
orientale.



A sinistra: Il pesce istrice Chilomycterus atringa è una specie diffusa in
tutto l’Atlantico caldo e temperato.
A destra: Il pesce lima scarabocchiato Aluterus scriptus, cosmopolita di acque
calde.



A sinistra: Canthigaster capistrata, piccolo pesce palla, con un vistoso
isopode parassita.
A destra: Il pesce lucertola Synodus synodus, diffuso anche ai Caraibi.

Tra i serranidi, la cernia Epinephelus marginatus, tipica del
Mediterraneo, è affiancata da Mycteroperca fusca, più affilata, che ama
nuotare a mezz’acqua, simile al nostro dotto.
Presenti un po’ tutti i saraghi, comuni il fasciato (Diplodus vulgaris) e
una forma locale del sarago maggiore (Diplodus sargus cadenati), ma a
fare la parte del leone è il sarago faraone (Diplodus cervinus) che qui è
molto socievole.
Il pesce trombetta è Aulostomus strigosus, specie dell’Atlantico
orientale, da non confondersi con A. maculatus, la specie Caraibica,
assente; invece il pesce istrice (Chilomycterus atringa) vive sui due
lati dell’Atlantico. Il pesce lima scarabocchiato (Aluterus scriptus), la
cui presenza alle Canarie ci dicono sia aumentata di molto dagli anni ’90 (che
il cambiamento globale si faccia sentire anche qui?) è la stessa specie che vive
in tutti i mari tropicali del mondo, dai Caraibi all’Indonesia.
Banchi di carangidi (Pseudocaranx dentex) e barracuda (qui il più comune
è Sphyraena viridensis) sono incontri comuni. Tra i pesci cartilaginei
abbondano le razze, dalla mobula (Mobula tarapacana) all’aquila di mare (Myliobatis
aquila
), dai molti trigoni alla mantelina (Gymnura altavela), con
pinne pettorali lunghissime.



A sinistra: Ophioblennius atlanticus atlanticus, blennide diffuso
nell’Atlantico dell’Est.
A destra: Heteropriacanthus cruentatus è un priacantide diffuso anche ai
Caraibi. Chiamato localmente Catalufa.



A sinistra: L’anguilla leopardo Myrichthys pardalis vive solo alle Canarie e
a Annobon (Africa).
A destra: La Muraena augusti, tipica di quest’area, si fa pulire dal gamberetto
Lysmata grabhami, specie Caraibica.



A sinistra: Il trigone Taeniura grabata.
A destra: La razza Gymnura altavela, detta mantelina, supera i 2 m di apertura
alare.

Nel 2000 El Hierro è stata dichiarata Riserva Mondiale della Biosfera
dall’UNESCO, che ha voluto in tal modo sottolineare l’esigenza di preservare un
sito per molti versi unico.
La località principe per le immersioni è la cittadina di La Restinga, porto di
pesca sulla costa meridionale. La zona circostante, il Mar de las Calmas, è
parco marino. Da non perdere le immersioni a El Bajón (un’impressionante secca
con pareti verticali e forte corrente, dove i barracuda sono una costante e
l’incontro con altri pelagici è sempre possibile) e a El Desierto, piattaforma
dove si percorre il limite tra roccia e sabbia, con incontri veramente molto
interessanti su ambo i lati. Noi abbiamo utilizzato e consigliamo il diving
center El Tamboril (il nome locale dei pesci palla), gestito con grande
professionalità e entusiasmo da Antonio e Esther. Web:
http://www.eltamboril.com/


Hypselodoris picta webbi è il nudibranco più comune sui fondali delle
Canarie.

E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche
parziale, del testo e delle foto presenti in questo articolo, senza il consenso
dell’autore.


TAGcanarie el Europa hierro isole remota viaggi
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Massimo Boyer

Biologo marino, fotografo sub e scrittore, tour operator, istruttore e guida. Ottimo conoscitore dei fondali Indonesiani. Autore di 4 libri: La fotografia naturalistica subacquea. Tra tecnica, arte e scienza, Scilla. Storia di uno squalo bianco, L'agenda del fotosub. Diventa fotografo subacqueo in 12 mesi, Atlante di flora e fauna del reef e oltre 500 articoli di subacquea. Insegna Fotografia Subacquea all'Università di Genova, collabora con l'Università Politecnica delle Marche e con l'Università di Milano Bicocca. https://rubrica.unige.it/personale/UkJFXVpo

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