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Home Articoli Biologia Eco trip: il rap ecologico di Doc Domi, divulgazione e ritmo
eco trip

Eco trip: il rap ecologico di Doc Domi, divulgazione e ritmo

27/06/2018

Noi scienziati spesso siamo accusati di catastrofismo, di sindrome di Cassandra, quasi ci divertissimo a predire catastrofi apocalittiche e a comunicarle in modo astruso senza dare le soluzioni.

Il fatto è che non è quasi mai semplice per la Scienza comunicare con il grande pubblico, far passare messaggi corretti scientificamente, essere capiti, e che non c’è una sola soluzione da dare per risolvere le crisi ambientali attuali, o forse la soluzione è sempre la solita, quella che ci costringerebbe a rivedere le nostre abitudini, cosa che nessuno vuole sentirsi dire.

Domenico D’Alelio, nome d’arte Doc Domi, ecologo marino (originario di Chiusano di San Domenico (AV) ma nato a Cernusco sul Naviglio (MI), che lavora presso la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, prova a farsi sentire usando un linguaggio che conosce bene e che è compreso da tutti, quello della musica, ed in particolare del rap. Nasce così, con la produzione musicale di Fabio Orza, in arte Fabio Musta, suo ventennale collaboratore nonché amico, l’album Eco Trip, il primo science-rap album mai prodotto in Italia: 11 brani che affrontano tematiche come la biologia marina, l’evoluzione sul nostro pianeta, la lotta contro l’inquinamento, sviscerandole con il linguaggio del rap.

Raggiungiamo Domenico, che ringraziamo moltissimo per aver accettato di rispondere alle nostre domande, diviso tra il suo lavoro di ricerca e le riprese del prossimo videoclip di Doc Domi & Fabio Musta, che parlerà di mare.

eco trip

foto di Jessica Squillante

Eco Trip

Domenico, come nasce Eco Trip? Da dove arriva l’esigenza di comunicare concetti scientifici e perché il ricorso al linguaggio del rap?

Grazie innanzitutto a voi per l’interesse verso questo progetto. Direi che Eco Trip è solo l’ultimo passo di un percorso di crescita personale e professionale iniziato più o meno cinque anni fa, quando ho iniziato a capire quanto fosse importante per me comunicare le mie ricerche o anche semplicemente il contesto scientifico nel quale opero, che è appunto l’ecologia acquatica. Un percorso che mi ha portato a impegnare il mio tempo libero, e quindi continuando a fare ricerca attivamente, nello studio di linguaggi (in senso lato) per la trasmissione delle conoscenze scientifiche. Ho imparato a scrivere articoli divulgativi (ora collaboro stabilmente con la Nuova Ecologia, mensile di Legambiente), a parlare al pubblico non esperto in maniera anche scherzosa (sono nel team organizzativo del festival Pint of Science), a “ingaggiare” il pubblico attraverso operazioni che qualcuno chiama di “guerrilla marketing”, ad esempio attraverso viaggi in bicicletta per incontrare i cittadini e parlare loro di scienza – esperienza, quest’ultima, raccontata nel libro Uno scienziato a pedali, che ho scritto insieme al mio amico ciclo-prof. delle medie Emilio Rigatti, per Ediciclo editore. Nel mio percorso di de-costruzione dello scienziato un po’ avulso dalla società (una condizione che purtroppo oggi è dominante, per i motivi più svariati, che non intendo qui affrontare) ho cominciato ad arricchire il mio portfolio di comunicatore in erba (non ho fatto studi professionalizzanti, in questi termini) con tante cose, che di fatto comunque mi venivano facili, mi piacevano, facevano parte di me, del me scienziato che è però anche una persona. Mi piace scrivere, mi piace andare in bicicletta e… mi piace il rap. Da quando ero ragazzo. A quei tempi, non ho preso la strada del musicista professionista, alcuni miei amici lo hanno fatto, ora sono professionisti affermati. Io ho preferito seguire la mia indole da scienziato. Una volta diventato scienziato, mi sono ricordato del rap e l’ho portato dentro al mio lavoro, che non è solo di ricercare i meccanismi della natura (prima missione della ricerca) o capire come questi possono essere utili alla società (seconda missione) ma anche condividere con il grande pubblico, soprattutto quello non esperto, quello che so (terza missione). Eco Trip è davvero una cosa che mi ha fatto molto felice. Ho fatto un prodotto musicale come piaceva a me, con chi volevo e in qualche modo “istituzionale”, poiché finanziato in parte attraverso un progetto internazionale sotto l’egida dell’Association for the Sciences of Limnology and Oceanography (ASLO), una delle principali società scientifiche a livello mondiale. 

Dai batteri fotosintetici a Trump, il brano C-funk ripercorre 3,5 miliardi di anni di evoluzione sottolineando che sono gli scambi gassosi tra terra, mare e atmosfera a rendere possibile un equilibrio delicato, che le nostre emissioni stanno compromettendo.

Ascoltate il pezzo, guardando il videoclip (opera di Elio De Filippo) con il testo in modalità karaoke. Imparerete tante cose. Vi dico che è il mio pezzo preferito dell’album. Non è il più bello, né quello di maggior impatto. Ma desideravo scrivere uno storytelling così da almeno dieci anni.

Plasticology affronta il tema scottante dell’accumulo della plastica, partendo dai caroselli che negli anni ’60 ci spingevano verso uno stile di vita basato sull’usa e getta, le cui conseguenza sono sotto gli occhi di tutti, e non c’è bisogno, come sottolinei giustamente, di pensare all’oceano Pacifico. Il rap, musica che esprime bene il disagio giovanile, denuncia questi errori in un modo asciutto e spietato e contemporaneamente passa dati scientifici, rigorosi.

Plasticology è un gran bel pezzo di lavoro, di comunicazione (ad esempio, leggete cosa scrisse Pietro Greco a riguardo). Il video (sempre di Elio De Filippo) è molto bello, d’impatto. Lo storytelling è venuto molto bene, perché abbiamo portato il focus in maniera progressiva dal positivismo del carosello del Moplen (immagine nella storia della comunicazione del nostro paese) agli oceani di plastica attuali. Però, questa considerazione mi porta a farne un’altra, se mi permetti. Vorrei innanzitutto spezzare una lancia in favore del rap. Non credo che sia la “musica del disagio giovanile”. Forse una di quelle che lo esprime meglio, anche se altri generi probabilmente sono più adatti. E mi pare che il disagio giovanile si sia espresso, lungo il corso della storia della musica, attraverso tanti generi, a seconda dell’epoca storica. Il rap per me è innanzitutto comunicazione. Nasce come la “CNN dei neri”. È informazione ma anche intrattenimento. È “engagement”. In America hanno coniato la parola “edutainment”, crasi di educazione ed intrattenimento, per riferirsi proprio al rap. Il rap è nato così, e io, per fortuna mia, così lo intendo. Aldilà del puro spettacolo d’intrattenimento, il rap è usato negli States da anni come mezzo per trasmettere informazione, anche scientifica. Per esempio, uno dei membri dello storico collettivo che prende il nome di Wu-tang clan ha portato avanti un progetto insieme alle high school di NYC che aveva lo scopo di raccontare la scienza con il rap. In una delle scuole che ho visitato di recente, io stesso ho detto a un ragazzino un po’ svogliato ma amante del rap di rendere in strofe rap le cose che studiava, invece di fare riassunti. Il rap per me è questo, un meraviglioso linguaggio di sintesi, di compressione di messaggi anche complessi in pochi versi. Ovviamente, su di un tappeto musicale di un certo tipo, che è però non più importante del contenuto, a mio modo di vedere.     

Musica e divulgazione della scienza si trovano unite in un format moderno, distante sia dalle ballate ecologiche dei tempi di Woodstock sia dai convegni istituzionali, dai professori universitari, dalle atmosfere noiose e troppo tecniche, da notizie così difficili da comunicare. Perché se la percezione che si ha degli argomenti scientifici dipende dal modo in cui si comunica, forse la tua ricetta di Doc Domi è quella giusta, per arrivare alle nuove generazioni?

Lo sapremo fra qualche anno. Ora, davvero, non saprei rispondere a questa domanda. I feedback sono molto disomogenei. Forse un domani faremo uno studio scientifico di tipo sociologico, nel prossimo futuro. La cosa più positiva, almeno per me e a circa sei mesi dall’uscita di Eco Trip, è che i suoi contenuti sono finiti, attraverso il rap, nella tesina di un maturando di un Liceo Scientifico. E, negli stessi giorni, il rap, attraverso la scienza, è finito su di un portale seguito da subacquei – e io stesso lo sono, sono un Figlio di Nettuno (il circolo CMAS di Avellino). A me interessa questo genere di cose, integrare le varie voci che parlano, a volte senza ascoltarsi, nella nostra società. Mica devo vendere dischi per sbarcare il lunario

Una domanda finale: ti senti più scienziato o più rapper?

Mi sento Domenico

Eco Trip

Guardate il video di C-funk

Guardate il video di Plasticology

E’ possibile acquistare l’album in formato digitale su Amazon

L’intero album può essere ascoltato su Spotify.


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Massimo Boyer

Biologo marino, fotografo sub e scrittore, tour operator, istruttore e guida. Ottimo conoscitore dei fondali Indonesiani. Autore di 4 libri: La fotografia naturalistica subacquea. Tra tecnica, arte e scienza, Scilla. Storia di uno squalo bianco, L'agenda del fotosub. Diventa fotografo subacqueo in 12 mesi, Atlante di flora e fauna del reef e oltre 500 articoli di subacquea. Insegna Fotografia Subacquea all'Università di Genova, collabora con l'Università Politecnica delle Marche e con l'Università di Milano Bicocca. https://rubrica.unige.it/personale/UkJFXVpo

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