Autore: Paola Ottaviano –
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La sagoma dell’ATR 72 della compagnia Air Tahiti, che
garantisce i collegamenti nazionali tra le infinite isole della Polinesia
Francese, proietta la sua ombra su una pista verde dell’Arcipelago delle
Australi. I passeggeri sono incollati all’oblò da diversi minuti, a scrutare la
distesa azzurra del mare. Si trasferiscono da un lato all’altro del piccolo
velivolo, in maniera indisciplinata. Trasgrediscono l’invito a tenere allacciate
le cinture di sicurezza, immemori dei loro stessi sottili timori di volo. Tutti
a guardare in basso con i nasi incollati ai vetri. Sono arrivate?
L’aeromobile raggiunge la costa e sorvola una fitta giungla, che non é
equatoriale, ma ridossata al Tropico del Capricorno. Sembra immergervisi e
sparire tra la lussureggiante vegetazione quando accelera la discesa e in pochi
secondi guadagna l’atterraggio lungo una striscia umida e polverosa.
Bienvenue à Rurutu! E’ vero che la mappa dell’isola ricorda in modo
impressionante la forma dell’Africa, ma evidentemente non é solo una suggestione
geografica. Il pick up che s’inerpica sull’altipiano di Rurutu attraversa piste
scoscese circondate da fitta boscaglia, piantagioni di banani, palme da cocco e
alberi secolari dalle radici tentacolari che si aggrappano al terreno muschioso.
Una giungla impenetrabile, rigogliosa, sempreverde grazie all’umidità che nutre
il sottosuolo innaffiato da piogge abbondanti, al punto tale da rendere
necessario l’intervento dei disboscatori per evitare che la vegetazione
inghiotta tutto. Sarà una questione di latitudine, ma la prima impressione é
quella di essere giunti nel cuore di tenebra dell’Africa subsahariana.
E invece é Polinesia francese a tutti gli effetti. Non la
Polinesia descritta dalle immagini dei dépliant turistici, fatta di motu
e lagune blu. Rurutu é l’esempio contrario dello sprofondamento dei coni
vulcanici da cui si sono formati gli atolli come quelli dell’Arcipelago delle
Tuamotu. Il fenomeno geologico da cui é nata l’isola, detto makatea, é la
riemersione del vulcano sommerso grazie al sollevamento del fondo oceanico
provocato dall’attività eruttiva sottomarina e dai movimenti tettonici. La
frastagliata scogliera di falesie che caratterizza in più punti i trentadue
chilometri di circonferenza, é la barriera corallina riaffiorata, costellata di
grotte calcaree. Anche le caratteristiche morfologiche del terreno differenziano
i due ecosistemi. Arido e corallino quello delle isole Tuamotu, fertile e ricco
quello di Rurutu, di origine vulcanica. Mentre nelle prime la coltivazione é
impossibile e le verdure sono praticamente assenti, a Rurutu é un trionfo di
frutta tropicale. Avocadi, pompelmi, manghi e papaie pendono dagli alberi folti.
Il verde domina con tutte le sue sfumature. Il noni, balzato agli onori
della cronaca e largamente commercializzato all’estero per le sue proprietà
medicamentose di anti invecchiamento, é il frutto più celebre della Polinesia e
la sua forma ricorda il fico d’India. Il taro, radice commestibile simile
ad un tubero, alla base della dieta locale, orna il terreno con le sue grandi e
lucenti foglie che tappezzano l’ingresso della Grotta Ana’Aeo
istoriata di imponenti stalattiti e stalagmiti. L’albero del pane,
entrato nella leggenda delle spedizioni via mare, si erge rigoglioso, con i suoi
grandi frutti ovoidali e le naturali incisioni sul tronco.
C’é un altro albero, che a luglio perde il fogliame per
esplodere in un tripudio di rosso scarlatto. E’ l’Erythrina, chiamata
anche “albero corallo” per la gradazione di colore che assume. Eppure non é per
questo che i viaggiatori giunti fin qui, in questo lontano ed isolato arcipelago
del mondo, lo cercano. Sanno che l’inizio della fioritura sarà il segnale di
qualcosa. Atae, arbre aux baleines, l’albero delle balene. Così lo hanno
rinominato gli abitanti di Rurutu. E la credenza vuole che allo sbocciare del
primo fiore, le balene saranno giunte nelle acque dell’isola.
Sono arrivate? La fremente curiosità che ha generato trambusto sull’aereo
diretto all’isola delle balene, crea suspense ed emoziona una volta saliti sul
poti marara (barca da pesca polinesiana). E’ l’ultima settimana di
luglio. Voci non confermate si rincorrono. C’é chi dice che ne sono state
avvistate due, le prime. E’ il début della stagione delle baleines à bosse,
le balene megattere che ogni anno, dalla fine di luglio ad ottobre, arrivano
a Rurutu per riprodursi. E, grazie alla mancanza di una laguna protetta dalla
barriera corallina, come negli altri atolli della Polinesia, si avvicinano a
pochi metri dalla costa. A tal punto da riuscire ad identificarle agevolmente e
scendere in acqua per nuotarci insieme. E’ un’occasione rara e preziosa, in un
luogo unico al mondo dove si ha la possibilità di osservare da vicino questi
gentili giganti degli oceani. Ma non é semplice.
Il primo tentativo fallisce. Il mare é grosso, e nonostante
la quattro ore di faticosa ricognizione intorno al perimetro dell’isola con
soste frequenti in balia della risacca, l’altezza delle onde non permette alcun
avvistamento. Delusione mortale! Ma non bisogna darsi per vinti. Domani si
riprova, le previsioni del tempo promettono miglioramento. E così, si risale in
barca la mattina seguente, con la speranza di essere ripagati per la costanza e
la devozione manifestate. Il mare si é placato nella notte e il sole fa capolino
tra le nuvole. Gli occhi scrutano in ogni direzione. Un dorso, un soffio, un
riflesso. All’improvviso esplode l’urlo concitato di un natante. “Eccole!” Due
balene infrangono l’acqua e si reimmergono. Il tempo di aspettare che abbiano la
necessità di tornare in superficie e tutti sono pronti con pinne e maschera.
Meglio indossare una muta sottile per essere più veloci, nonostante la
temperatura fresca. Via, tutti giù dalla barca, scivolando silenziosamente,
senza far rumore per non intimorirle e indurle alla fuga. La scena che si
presenta agli occhi stupefatti degli snorkelisti é magica. Sono una coppia,
allargano le lunghe pinne pettorali a croce e le richiudono lentamente come in
un abbraccio. Si sovrappongono, come a proteggersi. E’ la danza del
corteggiamento, lieve, dolce, struggente. E all’improvviso, partono parallele,
in verticale, verso l’alto. Si girano con il ventre bianco rilucente nell’oceano
blu cobalto e tagliano il mare con la testa fuori dell’acqua, a respirare. E’
l’emozione che non si può spiegare, é la commozione che non trova parole e
ammutolisce coloro che hanno assistito a questo meraviglioso spettacolo della
natura.
E poco importa se la visibilità non é eccezionale. Ci sarà un’altra occasione
per le foto e le riprese.
L’opportunità agognata si presenta il giorno successivo. A
pochi metri dalla banchina di attracco, c’é una boa. Ma quella mattina ha
qualcosa di particolare. Una pinna pettorale di balena sbuca di fianco al rosso
galleggiante. Possibile? Raggiunto il punto in pochi minuti, la visione dalla
barca é nitida: é proprio una balena e dorme beatamente. Ce l’avrà messa l’Ente
del Turismo di Rurutu per incrementare il whale watching nell’isola! Si
scende silenziosamente in acqua. La luce é perfetta, gli apparecchi fotografici
sono già in funzione, quando il giovane esemplare di Megaptera Novaeangliae
di circa tredici metri di lunghezza si sveglia, si stiracchia e punta dritto in
direzione di uno dei cameraman subacquei. Forse in un moto di vanità vuole farsi
fare dei primi piani. Il prescelto, che é una donna nella fattispecie,
indietreggia compostamente continuando a scattare fotografie. L’imponente
mammifero marino s’immerge ma subito risale in preda ad una curiosità
evidentemente non soddisfatta. Ripunta la stessa persona, le si getta addosso
con tutta la sua mole di venti tonnellate e non accenna a spostarsi. L’ignara
snorkelista allora gira i tacchi, anzi le pinne, e se la dà a gambe. Fantastico.
Decisamente non é da tutti essere oggetto di curiosità di una balena. L’istinto
ha prevalso in entrambi gli esemplari delle due specie, ma quella umana esce
dall’acqua dominata da un moto di orgoglio e da una grande felicità, per aver
avuto il privilegio di essere stata scelta.
La sera ci si trasferisce nella piazza centrale del villaggio
di Moerai. E’ luglio, il mese dell’Heiva, la più grande manifestazione di
cultura tradizionale polinesiana. Tutti gli abitanti dell’isola sono presenti,
in cerchio, per assistere alle gare di danza in costume. I musicisti danno il
ritmo al suono delle percussioni e le scuole di danza sfilano in gruppo e
individualmente. E il pubblico applaude, incita. Al momento dei canti, é un coro
unanime, della piazza intera. Canti di gioia che celebrano la grande allegria di
questo popolo così dolce e accogliente. Le mama, nei negozietti di
artigianato, intrecciano cesti e cappelli con le fibre di pandanus,
chiacchierano con figlie e nipoti, tramandano l’arte ai componenti delle
famiglie allargate.
Di notte i paguri approfittano del buio per nutrirsi dei
frutti caduti dagli alberi o per impadronirsi delle conchiglie vuote raccolte
dai turisti e messe ad asciugare sulla soglia dei bungalow. Si riprendono ciò
che é loro di appartenenza.
All’ora del tramonto, quando il cielo s’infuoca del rosso vermiglio del sole che
scende all’orizzonte, una balena salta fuori dell’acqua e compie mirabolanti
acrobazie, quasi a voler salutare il viaggiatore che, steso sulla battigia,
contempla in silenzio lo spettacolo della natura.
Sono arrivate? Sì, le balene sono arrivate e l’Atae, arbre aux baleines,
l’albero delle balene, è fiorito.
Magia di Rurutu.
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