Dal 23 aprile 2025, in Thailandia è vietato l’uso di fotocamere subacquee da parte di subacquei alle prime armi. La nuova normativa nazionale impone limiti severi con l’obiettivo dichiarato di proteggere gli ecosistemi marini più vulnerabili, in particolare le barriere coralline.

Cosa prevede la normativa
Il Ministero delle Risorse Naturali e dell’Ambiente ha stabilito che solo i sub con brevetto Advanced Open Water (AOW) o equivalente, oppure i brevettati Open Water con almeno 40 immersioni documentate a profondità superiori (anche se tecnicamente non abilitate dal loro brevetto), possono immergersi con una fotocamera.
Gli operatori devono poter verificare i brevetti o i logbook dei sub, e i trasgressori, inclusi i centri immersione che non intervengono, rischiano la revoca della licenza, fino a due anni di carcere o una multa massima di 200.000 baht (circa 4.500 euro).
Restrizioni anche per le guide e i corsi
La normativa vieta l’uso di fotocamere durante i corsi entry-level sia per gli allievi che per gli istruttori. «Durante l’addestramento iniziale è una scelta ovvia», scrive l’ex istruttore Mark ‘Crowley’ Russell su DIVE Magazine. «Qualsiasi attenzione data alla fotocamera è attenzione sottratta agli allievi, ed è inaccettabile perché pericoloso».
Agli snorkeler è richiesto di nuotare in aree dove ci siano almeno due metri d’acqua sopra i coralli, per evitare urti e danni. Le autorità raccomandano, quando possibile, di rimanere in zone con fondali sabbiosi, anche se meno interessanti, per ridurre al minimo l’impatto ambientale e sono tenuti a indossare giubbotti di galleggiamento a meno che non abbiano seguito corsi di immersione o apnea.
I rischi ambientali legati all’uso della fotocamera da parte di sub inesperti
Le motivazioni dietro il divieto non sono nuove per chi lavora nel settore. L’aumento dell’uso delle fotocamere digitali iniziato alla fine degli anni ’90 e amplificato dall’avvento di social media come Facebook e Instagram ha trasformato il profilo del subacqueo turistico.
«È importante distinguere tra un vero fotografo subacqueo e un sub con una fotocamera», scrive Russell. «Il primo ha un ottimo controllo dell’assetto e di solito si immerge con altri fotografi. Il secondo spesso ha appena preso una fotocamera in mano ed è, come posso dirlo gentilmente?, un incubo totale».
Le conseguenze sono: danni ai coralli, disturbo alla fauna marina, immersioni interrotte o pericolose, incidenti evitabili. Russell racconta di casi estremi:
«Ho visto sub usare coralli tabulari come cavalletti, altri appoggiarsi a blocchi di corallo di fuoco. Alcuni cercavano di far reagire gli animali pungendoli. Ho dovuto tirar via gente dal reef prendendola per la rubinetteria della bombola».
E aggiunge:
«Una volta ho dovuto interrompere un’immersione a Shark and Yolanda Reef perché un fotografo era scomparso. L’ho ritrovato mentre consegnava la sua fotocamera a un membro dell’equipaggio… di un altro centro immersioni».

Il rischio maggiore è la distrazione
Il problema non è solo ambientale. Molti principianti sottovalutano l’effetto che una fotocamera ha sull’attenzione. Serve usare due mani, spesso si perde il riferimento con assetto e profondità, ci si dimentica di consultare strumenti vitali come manometri e computer subacquei.
Questo aumenta il rischio di situazioni critiche: rimanere senza aria, superare i limiti di non decompressione, risalire troppo in fretta o urtare una barca in superficie.
Serve prima una vera padronanza delle abilità subacquee
Molti professionisti concordano: prima si imparano le basi, poi si scatta. Il controllo dell’assetto, la gestione delle spinte, la capacità di pinneggiare all’indietro e l’orientamento nello spazio sono prerequisiti essenziali per un fotografo subacqueo consapevole.
I fotografi subacquei più esperti sanno che serve osservare attentamente prima di avvicinarsi al soggetto, mantenere consapevolezza del proprio corpo nello spazio, evitare danni all’ambiente e non cercare appigli in modo istintivo. Anche perché potresti finire per afferrare, anziché un corallo, uno scorfano.
Quando sbagliare aiuta a capire: la testimonianza di un istruttore
Russell ammette di essere stato lui stesso un pessimo fotografo alle prime armi. Racconta di quando, nel 2002, si immerse con una Sea & Sea Motormarine durante una vacanza a Sharm El Sheikh:
«Catturai rullini interi di pesci blu che si allontanavano da me, con uno sfondo di barriera corallina… blu. Ero un Advanced Open Water con 50 immersioni. Mi sentivo esperto. Ma quando vidi un pesce coccodrillo sul fondo mi lanciai per fotografarlo. La mia guida mi controllò la pressione e mi offrì l’erogatore di emergenza. Avevo finito l’aria ed ero a 15 metri. Non c’era alcun social, non era per diventare virale. Eppure misi me stesso in una situazione potenzialmente pericolosa».
Una misura severa, ma condivisa
Il divieto ha ricevuto consenso da molti subacquei esperti e professionisti, proprio perché offre una risposta diretta a un problema noto da tempo.
Secondo Russell, il requisito dell’AOW come livello minimo è una soglia ragionevole, anche se l’esperienza non sempre coincide col brevetto. La sua proposta? Lasciare agli istruttori la valutazione del livello reale del sub prima di consentire l’uso della fotocamera.
Migliorare la formazione dei sub neofiti
Il divieto potrebbe avere anche un effetto indiretto positivo: spingere i sub appena certificati a migliorare più rapidamente il proprio livello, completando corsi avanzati prima di dedicarsi alla fotografia.
Intanto, la Thailandia continua a muoversi in direzione della tutela attiva dei suoi ambienti marini. Oltre alla nuova normativa, ha appena riaperto 10 siti d’immersione nelle isole Phi Phi dopo quasi un anno di chiusura per il recupero delle barriere coralline danneggiate.
L’area resta soggetta a regolamenti rigorosi: vietati rifiuti, scarichi alimentari, ancoraggi sui reef e contatto con la fauna marina.
Fonte originale: divemagazine