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Home Articoli Il relitto del B-24 Liberator “The Tulsamerican”
Dettaglio a colori del motore radiale di un B-24 Liberator ricoperto di spugne e piccoli pesci sul fondale

Il relitto del B-24 Liberator “The Tulsamerican”

10/06/2025

Il relitto del B-24 Liberator immerso nelle acque dell’Adriatico evoca una delle pagine più dimenticate della seconda guerra mondiale.

Sono passati più di 80 anni dalla storia che sto per raccontarvi.

È una storia dimenticata, come innumerevoli altri episodi che si sono svolti durante il secondo conflitto mondiale. Storie che stanno sbiadendo nelle nebbie della memoria o, come in questo caso, nel fondo del mare. Il martellare costante degli avvenimenti quotidiani cancella immediatamente la memoria del giorno precedente. Non sappiamo più da dove veniamo, quale è stato il nostro passato e lentamente il nostro passato si cancella.

Questa storia racconta di persone comuni che nel loro piccolo hanno contribuito a costruire la nostra società. Perché è vero che la storia è fatta dai grandi personaggi, ma è altrettanto vero che la storia siamo noi con le nostre piccole o grandi scelte.

Primo piano a colori di un’elica arrugginita e incrostata di organismi marini appartenente al relitto di un B-24 sul fondo del mare
Contenuti dell'articolo nascondi
Torretto Field, 17 dicembre 1944: l’alba della missione
Il B-24 “Tulsamerican”: caratteristiche e limiti della “Bara volante”
Obiettivo Ordetal: raid alle raffinerie di olio sintetico
L’attacco dei Messerschmitt 109 e i danni irreparabili
Destinazione Isola di Vis: il tentativo di atterraggio d’emergenza
Ammaraggio nel Mare Adriatico e perdita dell’equipaggio
Il relitto del B-24 Liberator oggi: immersione tra storia e biodiversità
La spedizione 2017 e il ritorno di Eugene Ford ad Arlington

Torretto Field, 17 dicembre 1944: l’alba della missione

Quel 17 dicembre 1944 la giornata si apre con un’alba fredda e insolitamente umida a Torretto Field. Il sole non è ancora spuntato sopra l’orizzonte e la vicinanza al mare non aiuta un gran che il gruppo di aviatori che, radunati sulla pista di decollo, aspetta rabbrividendo nelle tute da volo di potere entrare nella baracca dalla quale esce profumo di caffè e pane caldo.

Sono tutti giovani uomini, alcuni ancora con una leggera peluria sulle guance al posto della barba e vengono da ogni angolo degli Stati Uniti. Anche se anagraficamente giovani, sono già aviatori veterani, alcuni con molte decine di missioni alle spalle.

Quella mattina non era diversa dalle mattine che, nelle settimane precedenti, avevano caratterizzato le loro giornate: sveglia prima dell’alba, rapida colazione, riunione con l’ufficiale responsabile delle missioni aeree, ispezione delle apparecchiature di bordo e dei piani di volo, controllo degli addetti al carico delle 12 bombe da 230 kg con le quali avrebbero martellato, come facevano oramai da giorni, installazioni militari e industriali tedesche in Germania, Polonia e Romania.

torretta incrostata del relitto di un bombardiere B-24 sul fondo marino

Il B-24 “Tulsamerican”: caratteristiche e limiti della “Bara volante”

L’aeroporto militare di Torretta (“Torretto Field” come veniva chiamato dai militari statunitensi) era stato realizzato per le esigenze militari dalla 15° American Air Force nel Gennaio ’44 a sud di Cerignola e ospitava il 461° e il 484°Gruppo Bombardieri Consolidated  B-24 Liberator. Erano queste poderose macchine da guerra con una apertura alare di quasi 35 metri e, durante il periodo bellico, ne furono costruiti circa 18.000 esemplari.

Pur essendo aerei efficienti e micidiali, avevano tuttavia delle debolezze progettuali che le facevano chiamare dagli addetti ai lavori e dagli equipaggi “Flying Coffin”, ovvero “Bara Volante”. Questo non lusinghiero appellativo derivava principalmente dal fatto che il velivolo, a causa del particolare profilo dell’ala, risentiva di atterraggi pesanti e ammaraggi e la fusoliera tendeva a spezzarsi in due tronconi durante l’impatto con prevedibili, drammatiche conseguenze.

Obiettivo Ordetal: raid alle raffinerie di olio sintetico

L’obiettivo della squadra di bombardieri in quella fredda domenica di dicembre era radere al suolo le raffinerie di olio sintetico nella città polacca di Ordetal, nei pressi del confine tedesco. Una missione non particolarmente importante, ma parte di una più ampia offensiva aerea che sarebbe culminata con la distruzione totale di Colonia, Duisburg e Saarbrucken e che avrebbe inferto, da lì a pochi mesi, un colpo mortale alla Germania nazista.

I dieci uomini dell’equipaggio salgono sul B-24 che porta il suo nome dipinto in rosso sulla fusoliera, “The Tulsamerican” poiché costruito nella città di Tulsa, in Oklahoma con i fondi raccolti dai lavoratori della catena di montaggio che avrebbe chiuso il suo ciclo produttivo proprio con quello specifico velivolo.

Il gruppo di dieci bombardieri si dirige in formazione ordinata e compatta verso l’obiettivo; gli uomini parlano fra loro ad alta voce per superare il fragore delle eliche e dell’aria che impatta sulle torrette delle mitragliatrici mentre si preparano a sganciare il loro carico di fuoco e distruzione.

Vista in bianco e nero del relitto di un B-24 Liberator sul fondale marino, con motore ed eliche parzialmente sepolti nella sabbia

L’attacco dei Messerschmitt 109 e i danni irreparabili

La prima mitragliata sorprende tutto l’equipaggio ignaro dei cinque velocissima caccia Messerschmitt 109 che, nella più classica delle tattiche di assalto aereo, avevano attaccato il gruppo di bombardieri mantenendosi con il sole alle spalle e rendendosi invisibili. Le 10 Browning del Tulsamerican rispondono prontamente all’attacco con un diluvio di proiettili e traccianti riuscendo ad abbattere due dei caccia tedeschi ma il sistema idraulico dell’enorme bombardiere è oramai irrimediabilmente fuori uso.

Destinazione Isola di Vis: il tentativo di atterraggio d’emergenza

Risulta subito evidente al pilota che il ritorno alla base di Cerignola è impossibile per cui l’aereo viene diretto verso il piccolo campo di volo dell’Isola di Vis, in Jugoslavia. La torre di controllo però, vieta l’atterraggio di emergenza perché il carrello è bloccato nella pancia del B-24 e un aereo di queste dimensioni bloccato sulla pista avrebbe impedito ad altri velivoli l’uso dell’aeroporto.

Il comandante allora riprende quota a fatica e inizia a fare giri sul mare attorno all’isola mentre l’equipaggio prova ad aprire il carrello facendo forza sui comandi manuali. Lentamente, le ruote raggiungono la posizione corretta per tentare un atterraggio sulla pista sconnessa del piccolo aeroporto ma, a questo punto, il pesante velivolo si trova a sfavore di vento, i motori si arrestano e l’aereo plana verso il basso, oramai impossibile da controllare.

Ammaraggio nel Mare Adriatico e perdita dell’equipaggio

Un primo rimbalzo, violentissimo, sulla superficie del mare duro come il granito e l’aereo tiene. Un secondo impatto determina la rottura della fusoliera della Bara Volante circa a metà della struttura, in corrispondenza della cabina radio dove quasi tutto l’equipaggio si era radunato.

Sette aviatori vengono proiettati fuori dal B-24 e si salvano mentre tre uomini (il pilota, l’ingegnere e il navigatore) non ce la fanno e si inabissano nel gelido Mare Adriatico. Nella discesa il troncone anteriore (ali, motori, cabina di comando e carrello) ruota su sé stesso e si appoggia sul fondo sottosopra, a circa quaranta metri di profondità.

Vista subacquea di una torretta del B-24 ricoperta di spugne e incrostazioni, immersa in acque profonde

Il relitto del B-24 Liberator oggi: immersione tra storia e biodiversità

È così che lo vedo io, dopo un tuffo nel blu. Lo sviluppo alare immenso, i motori con le pale dell’elica profondamente distorte per l’impatto con l’acqua, il carrello ancora fuori, alto come un uomo. Mi muovo pinneggiando lentamente sulla fusoliera illuminata dai fari della macchina fotografica, con una sensazione di stupore profondo e di commozione.

Il mare ha lentamente preso possesso di ogni centimetro quadrato dell’aereo, colorandolo di giallo vivo, rosso brillante, bianco avorio. Piccoli branchi di pesci si muovono con disinvoltura fra i resti del bombardiere oramai diventato un rifugio per innumerevoli generazioni di creature marine.

Altri cento o duecento anni e dell’enorme velivolo non sarà rimasto più nulla. Il mare e le correnti sgretoleranno metallo, tela e gomma e nessun subacqueo sprofonderà nel blu per vedere con i propri occhi questo relitto e per emozionarsi, pensando ai giovani uomini che hanno lasciato vite, sogni e progetti sul fondo silenzioso e mutevole del mare.

eugene ford adriatico b 24

La spedizione 2017 e il ritorno di Eugene Ford ad Arlington

Una breve nota a conclusione della storia. Nel 2017 una spedizione finanziata dal Ministero della Difesa statunitense e composta da patologi forensi, sommozzatori e storici è tornata nelle profondità del mare croato con l’intento di recuperare i resti degli aviatori affondati con il grande bombardiere.

Dopo lunghe ricerche, i resti del comandante del bombardiere, il tenente Eugene Ford, vengono trovati e identificati con certezza grazie al test del DNA.

Dopo 73 anni il pilota sale di nuovo su un grande aereo per sorvolare ancora l’oceano fino al cimitero militare di Arlington in Virginia, dove viene sepolto di fianco al figlio, un veterano della guerra del Vietnam, che sarebbe nato 3 mesi dopo la morte di suo padre pilota.

Si può rinascere anche in modi del tutto particolari…

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Davide De Lorenzi

Medico Veterinario, Specialista in Clinica e Patologia degli Animali da Compagnia, Dottore di Ricerca in Fisiologia e Fisiopatologia degli Animali da Compagnia, Professore a Contratto presso le Facoltà di Medicina Veterinaria di Parma, Pisa e Teramo. Iscritto all’ultimo anno della Laurea Triennale in Biologia Marina Presso la sede di Ravenna. Guida Subacquea con la passione per la fotografia sia sopra che sotto l’acqua, giro il mondo per descrivere con i miei scatti l’infinita bellezza del creato e del genere umano. Alcune mie fotografie sono state pubblicate su National Geographic Italia e numerose fotografie ad argomento naturalistico sono arrivate finaliste a prestigiosi concorsi internazionali come l’Oasis Photo Contest e il Wildlife Photographer of the Year. Come Cartier-Bresson penso che fotografare voglia dire “mettere sulla stessa linea di mira il cuore, la mente e l'occhio.” “Mare calmo non fa buon marinaio”

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